Da un lato il samsara, dunque, il mondo dell’impermanenza, della vita e della morte, e dall’altro il nirvana, il mondo dell’eternità, del non mutamento. La pratica religiosa consisterà, da questo punto di vista, nell’impegnarsi ad abbandonare un dominio, il samsara, per condursi in un altro, il nirvana.
Ma evidentemente, se si pratica con questo scopo, non si fa che mantenere in se stessi la causa essenziale del samsara, vale a dire una coscienza dualistica che crea incessantemente opposizioni, che desidera una cosa rifiutandone un’altra; che, nella fattispecie, desidera il nirvana e rigetta il samsara. Ed è appunto questa la causa del samsara. […]
Lasciar cadere tutto ciò (ossia questa sorta di contrapposizione fittizia, apparente – ndr) è il senso stesso della nostra pratica di ogni istante, ed è la sola autentica realizzazione possibile.
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Commento: lasciar cadere la coscienza dualistica che crea incessantemente opposizioni e illusioni è la sola autentica realizzazione possibile.