In questo brano (la risposta ad un discepolo che gli chiedeva consiglio circa le proprie esperienze) Aurobindo tratta dei rischi della “zona intermedia”: quello stato o periodo di confusione in cui si esce dalla coscienza personale e ci si apre a quella cosmica, senza aver tuttavia trasceso i livelli della mente umana.
“Tutte queste esperienze sono della stessa natura e ciò che vale per una vale anche per l’altra. A parte alcune esperienze di carattere personale, le altre sono o idee-verità, come quelle che si riversano dall’alto nella coscienza quando si entra in contatto con certi piani d’essere, oppure potenti formazioni provenienti dai più vasti mondi della mente e del vitale le quali, non appena il sadhaka si apre a tali mondi, si precipitano dentro di lui cercando di usarlo per realizzarsi. Queste cose, quando scendono o entrano nella coscienza, si presentano con una grande forza, un vivo senso d’ispirazione o illuminazione, una sensazione vivissima di luce e di gioia, un’impressione di vastità e di potere.
Il sadhaka si sente liberato dai limiti normali, proiettato in un nuovo mondo meraviglioso di esperienza, colmato, ampliato, esaltato, mentre le cose che scendono si mescolano alle sue aspirazioni, ambizioni, concezioni del compimento spirituale o della siddhi yoghica, presentandosi addirittura come la realizzazione e il compimento stesso. Molto facilmente il sadhaka si lascia trasportare dallo splendore e dall’irrompere di queste cose, e pensa di aver realizzato più di quanto sia veramente il caso, e che sia arrivato a qualcosa di definitivo o almeno a qualche verità sovrana. A questo stadio, in genere gli mancano la conoscenza e le esperienze necessarie a fargli vedere che questo è solo un inizio molto incerto e oscuro; può non rendersi subito conto di essere ancora nell’Ignoranza cosmica, e non nella Verità cosmica, e tantomeno nella Verità trascendentale, e che, quali che siano le idea-verità formatrici o dinamiche discese in lui, esse sono solo parziali e ulteriormente sminuite dal fatto che è una coscienza ancora torbida a presentargliele. Egli può anche non riuscire a rendersi conto che, se applica precipitosamente quanto sta realizzando o ricevendo come se fosse qualcosa di definitivo, può o cadere nella confusione e nell’errore o rimanere imprigionato in qualche formazione parziale, in cui può esserci sì un elemento di Verità spirituale, ma probabilmente ricoperto da altre dubbie sovrastrutture mentali e vitali che lo deformano del tutto. Solo quando sarà capace di tenersi distaccato (o subito, o dopo un certo tempo) dalle sue esperienze, tenersi al di sopra di esse con la coscienza imparziale del testimone, osservandone la reale natura, le limitazioni, la composizione e la mescolanza, potrà avanzare sulla strada che porta a un’autentica libertà e a una siddhi superiore, più vasta e più vera. Questo va fatto a ogni passo. Qualunque cosa infatti venga in tal modo al sadhaka di questo yoga, che sia dalla sovramente o dall’Intuizione o dalla Mente illuminata o da qualche elevato piano della Vita o da tutti questi assieme, non è cosa definitiva e finale; non è la Verità suprema in cui egli può riposare, ma solo uno stadio. E tuttavia questi stadi vanno attraversati, perché la Verità supermentale o Suprema Verità non può essere raggiunta d’un balzo e nemmeno in molti balzi; bisogna progredire con pazienza, calma e perseveranza, attraversando molti stadi intermedi senza lasciarsi limitare o vincolare dalla loro Verità, dalla loro Luce, dal loro Potere o Ananda minori.
Questo è infatti uno stadio intermedio, una zona di transizione fra la coscienza ordinaria della mente e la vera conoscenza yoghica. Lo si può attraversare senza danno se ci si accorge subito, o molto presto, della sua vera natura e se ci si rifiuta di lasciarsi trattenere dalle sue mezze luci e dalle sue esperienze seducenti, ma imperfette e spesso mescolate e ingannevoli. È una zona in cui ci si può smarrire, seguire false voci e una guida menzognera, andando alla fine incontro a un disastro spirituale; o ci si può installare in questa zona intermedia senza preoccuparsi di andare oltre, costruendovi qualche semiverità e scambiandola per la verità totale, o divenire lo strumento dei poteri di questi piani di transizione, e questo è quanto accade a molti sadhaka e yogi. Sopraffatti da questa prima irruzione di uno stato sovranormale e dal senso di potere che esso porta con sé, restano abbacinati da una piccola luce che a loro sembra una straordinaria illuminazione, o dal contatto di una forza che prendono erroneamente per la piena Forza divina o almeno una grandissima Shakti dello Yoga; oppure accettano qualche Potere intermedio (non sempre un Potere del Divino) come il Supremo e una coscienza intermedia come la massima realizzazione. Fanno presto a credere di essere nella piena coscienza cosmica, mentre in realtà sono entrati in contatto dinamico solo con qualche aspetto o piccola parte di essa o con qualche più vasta regione della Mente, o della Forza di Vita, o del fisico sottile. Oppure sentono di essere in una coscienza interamente illuminata, mentre in realtà ricevono in maniera imperfetta cose dall’alto attraverso una illuminazione parziale di qualche piano mentale o vitale; ciò che arriva è infatti sminuito e spesso alterato nel corso della trasmissione attraverso questi piani; inoltre la mente e il vitale riceventi del sadhaka spesso comprendono e traducono male quanto ricevono, o proiettano in esso, affinchè vi si mescolino, le proprie idee, i propri sentimenti o desideri personali, che tuttavia non considerano propri ma parte della Verità che ricevono poiché sono a essa mescolati, ne imitano la forma, sono rischiarati dalla sua illuminazione e traggono da questo contatto e da questa luce non loro un’importanza esagerata.
Esistono pericoli peggiori in questa zona intermedia di esperienza. Quei piani a cui il sadhaka ha ora aperto la propria coscienza — non, come prima, ottenendone bagliori e qualche influenza, ma in modo diretto, ricevendone pienamente l’impatto — , gli mandano infatti una moltitudine di idee, impulsi, suggestioni e formazioni d’ogni genere, spesso del tutto opposte le une alle altre, incoerenti e incompatibili, ma presentate in modo da far sembrare trascurabili le loro insufficienze e differenze, con grande forza, plausibilità e ricchezza di argomenti, o suscitando un convincente senso di certezza. Sopraffatta da questo senso di certezza, di vivezza, da quest’apparenza di abbondanza e di ricchezza, la mente del sadhaka entra in una gran confusione che scambia per qualche organizzazione e ordine più vasti; oppure si lascia trascinare da incessanti spostamenti e cambiamenti che scambia per un rapido progresso ma che, in realtà, non portano da nessuna parte. Oppure, il sadhaka corre il pericolo opposto di diventare lo strumento di qualche formazione dall’apparenza splendida, ma ignorante; infatti questi piani intermedi sono pieni di piccoli Dèi, di forti Daitya o di esseri inferiori che desiderano creare, materializzare qualcosa o imporre nella vita terrestre una formazione mentale o vitale, e sono avidi di usare, influenzare o addirittura possedere il pensiero o la volontà del sadhaka, facendo di lui lo strumento per il loro scopo. Questi pericoli si aggiungono a quello ben noto rappresentato dagli esseri effettivamente ostili che mirano solo a creare confusione, menzogna, a rovinare la sadhana e a portare a un disastroso errore antispirituale. Chiunque permetta a uno di questi esseri, che spesso assumono un Nome divino, d’impossessarsi di lui, perderà la strada nello yoga. D’altro canto, è del tutto possibile che al sadhaka che entri in questa zona venga incontro un Potere del Divino che lo aiuti e lo guidi finché non sia pronto per cose più grandi; neppure questo tuttavia è una garanzia contro gli errori e gli smarrimenti in questa zona, perché per i poteri di tale zona o per i poteri ostili niente è più facile che imitare la Voce o l’Immagine della guida, ingannare e fuorviare il sadhaka o far sì che egli attribuisca al Divino le creazioni e formazioni della propria mente, del proprio vitale o del proprio ego.
Questa zona intermedia è infatti una regione di semiverità; ciò, di per sé, non avrebbe importanza, perché non esiste verità completa al di sotto della supermente, ma qui la semiverità è spesso così parziale o ambigua nella sua applicazione che lascia ampio spazio alla confusione, all’illusione e all’errore. Il sadhaka crede di non essere assolutamente più nella vecchia piccola coscienza, perché si sente in contatto con qualcosa di più vasto o di più potente; tuttavia la vecchia coscienza è ancora lì, non veramente abolita. Egli sente il dominio o l’influsso di qualche Potere, Essere o Forza più grandi di lui, aspira a esserne lo strumento e pensa di essersi sbarazzato dell’ego; ma quest’illusione di assenza dell’ego nasconde spesso un ego ancor più grande. Vengono e s’impossessano di lui e della sua mente idee che sono solo parzialmente vere e, per un uso sbagliato che nasce da un’eccessiva fiducia, si trasformano in menzogna; questo deforma i movimenti della coscienza e apre le porte all’illusione. Egli riceve suggestioni, a volte romanzesche, che lusingano il suo senso d’importanza o rispondono ai suoi desideri, ed egli le accetta senza esaminarle o senza controllarle con discriminazione. Anche quello che è vero viene talmente esaltato o ampliato oltre la sua vera portata, il suo limite e la sua misura reali, che diventa fonte d’errore. Questa è una zona che molti sadhaka devono attraversare, in cui parecchi errano a lungo e dalla quale moltissimi non escono mai più. Specie se la loro sadhana è soprattutto di tipo mentale e vitale, vi incontrano inevitabilmente molte difficoltà e pericoli; solo coloro che seguono scrupolosamente una guida rigorosa o il cui essere psichico [l’anima] è, nella loro natura, in primo piano, attraversano facilmente, come su una strada sicura e chiaramente tracciata, questa zona intermedia. Anche una sincerità centrale e una umiltà di fondo salvano da molti pericoli e turbamenti. Si può allora passare rapidamente oltre, in una Luce più chiara dove, pur essendoci ancora molta mescolanza, incertezza e lotta, l’essere si volge tuttavia verso la Verità cosmica e non verso un prolungamento semi-illuminato della Maya e dell’ignoranza.
Ho descritto in termini generali, con le sue principali caratteristiche e possibilità, questo stato di coscienza che si trova appena oltre il confine della coscienza normale, perché lì sembrano prodursi queste esperienze. Ma differenti sadhaka vi si comportano in maniera diversa e rispondono a volte a una certa categoria di possibilità, a volte a un’altra. Nel vostro caso, sembra che siate entrato in tale stato durante un tentativo di far discendere la coscienza cosmica o di penetrarvi di forza; non importa in che modo lo si esprime o se si è perfettamente coscienti di quanto si sta facendo o se se ne è coscienti in questi termini; in sostanza il risultato è questo. Non siete entrato nella sovramente, perché entrare diritti nella sovramente è impossibile. La sovramente è, in effetti, al di sopra e dietro ogni azione della coscienza cosmica, ma all’inizio si può avere con essa solo un contatto indiretto; le cose che discendono di là passano attraverso livelli intermedi ed entrano in un piano mentale, in un piano vitale e in un piano fisico sottile più vasti, e, nel trasmettersi, vengono alquanto alterate e sminuite, senza che nulla rimanga del pieno potere e della piena verità che possedevano nella sovramente stessa ai suoi livelli d’origine. La maggior parte dei movimenti non vengono dalla sovramente, ma discendono dai livelli della mente superiore. Le idee di cui queste esperienze sono penetrate e su cui sembrano basare la loro pretesa di verità non appartengono alla sovramente, bensì alla Mente superiore o, a volte, alla Mente illuminata; ma sono inquinate da suggestioni provenienti dalla mente e dalle regioni vitali inferiori e gravemente sminuite nella loro applicazione o, nella maggior parte dei casi, applicate male. Tutto ciò non avrebbe importanza: è comune e normale, e lo si deve attraversare per entrare in un’atmosfera più pura dove le cose sono meglio organizzate o si fondano su una base più sicura. Ma nel vostro caso il movimento è stato fatto in uno spirito di fretta e desiderio eccessivi, di esagerata stima e fiducia in sé, di prematura certezza, senza contare su altra guida se non quella della propria mente o del ‘Divino’ quale è concepito o sperimentato a uno stadio di conoscenza molto limitata. Ma la concezione e l’esperienza che il sadhaka ha del Divino, anche se fondamentalmente genuine, non sono mai a tale stadio complete e pure: sono mescolate con cose di ogni sorta di origine mentale e vitale, e con altre che vengono associate a questa Guida divina e credute parte di essa mentre, in realtà, provengono da tutt’altre fonti. Anche supponendo che ci sia qualche guida diretta (il più delle volte, in queste condizioni, il Divino agisce soprattutto da dietro il velo), è solo occasionale e il resto avviene attraverso un gioco di forze; errori, cadute e il mescolarsi dell’Ignoranza avvengono liberamente, e tutto ciò è permesso perché il sadhaka dev’essere messo alla prova delle forze del mondo, deve imparare attraverso l’esperienza, deve crescere, attraverso l’imperfezione, verso la perfezione — se ne è capace, se è desideroso d’imparare, di aprire gli occhi ai propri sbagli ed errori, di apprendere da essi e trame profitto in modo da crescere verso una più pura Verità, Luce e Conoscenza.
Il risultato di questo stato mentale è che si comincia ad affermare che tutto ciò che si riceve in questa regione mescolata e sospetta è l’intera Verità e la pura Volontà divina; idee o suggestioni, che costantemente si ripetono, vengono espresse con arroganza, come se fossero la Verità totale e incontestabile. Si ha l’impressione di essere diventati impersonali e liberi dall’ego, mentre invece tutto il tono della mente, il suo modo di esprimersi e il suo spirito sono pieni di veemente arroganza, che si giustifica affermando di pensare e agire quali strumenti del Divino e sotto la sua ispirazione. Vengono messe avanti, con molta aggressività, idee che possono essere valide per la mente ma che non lo sono dal punto di vista spirituale; tuttavia vengono affermate come se fossero assoluti spirituali: per esempio, l’equanimità che, in quel senso — la Samata yoghica è infatti cosa del tutto diversa — è un semplice principio mentale, il diritto a una sacrosanta indipendenza, il rifiuto di accettare chicchessia quale Guru o l’opposizione tra il Divino e il Divino umano, ecc., ecc. Tutte queste sono idee che la mente e il vitale possono assumere e tradurre in principi, per poi cercare d’ìmporle alla vita religiosa o anche a quella spirituale, ma, per loro natura, non sono e non possono essere spirituali. Cominciano allora anche a entrare suggestioni dai piani vitali, un pullulare d’immaginazioni romanzesche, fantasiose o ingegnose, interpretazioni segrete, pseudo-intuizioni, sedicenti iniziazioni alle cose dell’al di là, tutte cose che eccitano o confondono la mente e sono spesso presentate in modo da adulare e magnificare l’ego e l’importanza personale, ma che non si basano su alcuna vera realtà spirituale od occulta ben accertata. Tale regione è piena di elementi di questo genere che, se tollerati, cominciano ad assalire il sadhaka; ma se egli intende seriamente raggiungere il Supremo, deve semplicemente osservarli e proseguire sulla propria strada. Non che tali cose non contengano mai alcuna verità, ma su una vera se ne presentano nove false che la imitano, e solo un occultista esperto, con il discernimento infallibile nato da una lunga pratica, può orientarsi in questo labirinto senza inciampare né lasciarsi intrappolare. L’intero atteggiamento, l’intera azione, ogni parola possono essere talmente pieni di errori di questa zona intermedia che procedere su questa rotta può significare allontanarsi molto dal Divino e dallo yoga.”
(Da: Sri Aurobindo, “Lettere sullo yoga”, vol. III)
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– http://it.wikipedia.org/wiki/Sri_Aurobindo