C’è un passo in Alice nel paese delle meraviglie in cui Alice entra in una stanza e vi trova una bottiglia con l’etichetta “bevimi”. L’etichetta non spiega ad Alice il contenuto della bottiglia, ma le dice che cosa farne. Quando il Buddha presentò le sue quattro verità, egli in primo luogo descrisse a che cosa ciascuna si riferisce, poi prescrisse a coloro che lo ascoltavano di agire in conformità ad esse. Quando comprendiamo a che cosa egli si riferisca con il termine “dolore”, ci prescriviamo insieme di comprenderlo, come se esso recasse l’etichetta “comprendimi”. La verità del dolore diviene un’esortazione ad agire.
La prima verità mette in questione il nostro abituale rapporto con il dolore. In senso più ampio, mette in questione il nostro rapporto con la nostra esistenza in quanto tale, con la nostra nascita, con la malattia, la vecchiaia, la morte. A quale punto manchiamo di comprendere tali realtà e le loro implicazioni? Quanto tempo si passa a cercare di distrarsene e a dimenticarle? Quando siamo presi da una preoccupazione, ad esempio, cosa facciamo? Possiamo sforzarci di scacciarla. Oppure tentiamo di convincerci che la faccenda non sia come sembra e, siccome non ci riusciamo, cerchiamo di trasferire su qualcos’altro la nostra preoccupazione. Quanto spesso invece assumiamo davvero la nostra ansia, accettiamo la nostra situazione, e cerchiamo di comprenderla?
Il dolore mantiene il suo potere su di noi soltanto finché gli consentiamo di incuterci timore. Siccome siamo abituati a considerarlo temibile e minaccioso, non riusciamo a vedere il motto che il Buddha vi ha impresso: “comprendimi”. Se cerchiamo di evitare una potente ondata che ci arriva addosso in riva al mare, essa finirà per travolgerci, in un vortice di schiuma e di sabbia. Ma se la fronteggiamo a testa alta e ci tuffiamo dentro, scopriamo che è soltanto acqua.
Comprendere una situazione d’ansietà equivale a riconoscerla serenamente e chiaramente per quello che è, ossia come transitoria, contingente, priva di un’identità intrinseca. Non comprenderla equivale invece a irrigidirla in qualcosa di statico, di separato, di irrelato. L’ansia nel chiederci se una persona amica ci ama ancora, ad esempio, diventa qualcosa di isolato, invece di essere percepita come parte di un processo derivante da un flusso di circostanze contingenti. Tale percezione ci induce a configurarci un modo di sentire psicologicamente bloccato, inceppato, ossessivo. Quanto più persiste in noi questo stato di avvilimento, tanto più diventiamo incapaci di agire. L’esortazione che ci viene dalla prima verità è ad agire, invece di esserne resi incapaci dalle nostre reazioni abituali.
(Da: Stephen Batchelor, “Buddhismo senza fede”)
– Stephen Batchelor (amazon)
– Stephen Batchelor (macrolibrarsi)
– https://it.wikipedia.org/wiki/Stephen_Batchelor
– Fonte