Il taoismo, per il quale il vuoto è costitutivo dell’universo quanto il pieno (l’esempio classico è quello del vaso, che non si può pensare se non come cavità vuota circondata da materia utile a trattenere l’acqua), e lo zen, che esperisce il vuoto tramite “pratiche” rituali, mettono in evidenza ciò che è assente ma presiede a quel carattere, quell’essenza, universale che va sotto il nome di “impermanenza”.
Il vuoto orientale è reale, concreto; ma in Occidente mancano le parole per configurare il suo operare, la sua luminosa in-essenza produttiva, di cui è possibile avere un’esperienza positiva attraverso le forme d’arte orientali che, invece di “rappresentare” un oggetto, “presentano” il vuoto tra le cose, ciò che le individua e distingue.
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