Per te il mondo è bizzarro perché, se non ne sei annoiato, sei in contrasto con esso. Per me il mondo è bizzarro perché è stupendo, perché incute timore, è misterioso, insondabile; il mio interesse è stato convincerti che devi assumerti la responsabilità di stare qui, in questo mondo meraviglioso, in questo deserto meraviglioso, in questo tempo meraviglioso. Volevo convincerti che devi imparare a rendere ogni atto importante, poiché starai qui solo per breve tempo, in realtà troppo breve per testimoniare tutta la sua meraviglia. (Don Juan Matus, La ruota del tempo)
Una delle cose che don Juan insegnò a Carlos Castaneda è che l’universo ha una natura predatoria e che noi, come tutte le altre creature, agiamo come predatori per buona parte del nostro tempo. La natura predatoria degli esseri umani è sostenuta dal loro sguardo, come un intento che viene sorretto costantemente dalla profondità della visuale bioculare, tipica dell’uomo. Un tempo questo era necessario per la sopravvivenza e la ricerca del cibo. Ora, invece, lo abbiamo esteso a tutto ciò che facciamo, specie nei rapporti con altri esseri, includendo anche i nostri simili.
Un modo per andare oltre lo sguardo del predatore, egli insegnò, è per prima cosa prendere consapevolezza della predisposizione a sfruttare i nostri simili per il nostro tornaconto personale. Solo dopo esserne diventati consapevoli possiamo iniziare ad imparare a spostare la nostra attenzione su qualcos’altro, qualcosa più grande di noi stessi, come può essere, appunto, il cielo, l’orizzonte, un fiore, un sorriso, qualcosa d’impersonale e di più astratto. In modo da potersi realmente rendere conto che il mondo che abbiamo intorno è diverso, più intenso, più interessante, meraviglioso e ricolmo d’infinito. Così da poter vedere il mondo con occhi diversi, con gli occhi dello sciamano, appunto, che, per diventare tale, come prima cosa impara a cambiare la direzione del suo sguardo, e nel suo sguardo risplende l’infinito.
Don Juan disse che uno strumento chiave per sostenere questo intento è la pratica dei passi magici: posizioni del corpo e respirazioni, scoperte dai veggenti dell’antico Messico in stati chiamati “del sognare”. I passi magici vengono praticati per il loro straordinario effetto sulla consapevolezza e per il benessere che apportano, per la loro capacità di dare energia, concentrazione e significato alla nostra esistenza ed alle nostre azioni.
Una delle ultime apprendiste di Carlos Castaneda racconta la sua scoperta dell’atteggiamento “da predatore” e come, spostando l’attenzione su qualcos’altro, è riuscita a superarlo.
“Un pomeriggio chiaro e assolato a Los Angeles, i quattro studenti di don Juan e i loro apprendisti si ritrovarono per mangiare insieme nel patio della casa dei veggenti. Erano tutti seduti intorno ad un grande tavolo a forma di U rivestito da una tovaglia e apparecchiato con argenteria e cristalli lucenti sotto il sole di metà pomeriggio. Tutti mangiarono e dialogarono amichevolmente –raccontavano barzellette e storie, gli uni e gli altri ascoltavano e riferivano sui film preferiti – tutti eccetto un’apprendista. Lei, non appena si sedette, realizzò di non stare seduta vicino a Taisha Abelar, Florinda Donner-Grau, Carol Tiggs e neanche al nagual Carlos Castaneda, così cominciò ad agitarsi sulla sedia e a provare una tensione crescente nello stomaco e a serrare le mascelle.
Invece di godersi la compagnia dei suoi compagni e del giardino circostante, questa giovane apprendista osservava in continuazione la scena, guardando accanto a chi erano seduti tutti quanti e quando notò una compagna apprendista alzarsi dal posto accanto a Taisha, andò velocemente ad assicurarsi il posto vacante.
Taisha non si agitò e non sussultò, ma si girò per sorridere alla nuova aggiunta. Quando l’altra apprendista ritornò a reclamare la sua sedia, l’apprendista appena sistemata non si mosse e le disse semplicemente: “Prendi la mia sedia fino a che non ho terminato”. Così fece l’altra apprendista e, mentre Taisha si girava per fissare la sua ospite più direttamente, entrambe sentirono un ronzio dietro le orecchie: un paio di colibrì erano arrivati per sorseggiare il nettare dai fiori di un albero vicino.”Guarda questi colibrì,” accennò Taisha con un gesto leggero della mano. “Guarda cosa fanno.”
La giovane apprendista volse lo sguardo verso un nespolo in piena fioritura e guardò come uno degli uccelli immergeva il lungo becco in un fiore. Il secondo colibrì veniva vicino e il primo lo cacciava fisicamente via. Poi, dopo la sua lunga bevuta, per un istante soddisfatto in apparenza, il primo colibrì si librò appena sopra e lontano dal fiore, sul quale il secondo colibrì sostava a mezz’aria come in attesa di trovare la fortuna per accedere al fiore. Il primo colibrì non ne aveva avuto abbastanza; si lanciava in picchiata ripetutamente sul secondo colibrì spostandolo lontano come per dire “Ehi, non pensarci affatto; non provare nemmeno a guardarlo il mio fiore!”.
L’apprendista guardava con sbalordimento.
“Stai testimoniando “l’occhio del predatore” in azione” disse Taisha sommessamente. “Noi lo dimentichiamo, ma come esseri viventi facciamo tutti la stessa cosa.”
“L’occhio del predatore?” domandò l’apprendista. “Che cos’è?”
“Un regno che i veggenti del Messico dell’antichità facevano il loro massimo per andare oltre. Esso manifesta se stesso in uno sguardo, uno sguardo dove ogni altra cosa si dissolve eccetto l’oggetto al quale stiamo mirando… Dimmi, non sono scomparsi tutti ed ogni cosa in questo giardino eccetto la tua visione di questa sedia che bramavi?”
“Beh, sì” l’apprendista annuì in accordo dopo un momento di riflessione. Dovette ammettere che per secondi era andato tutto fuori fuoco ad eccezione di quella singola sedia.
“I nostri occhi sono i padroni del nostro intento” disse allora Taisha. “Ovunque essi vanno, lì è dove piazziamo il nostro intento e il tuo intento stava su questa sedia. Infatti, per assicurartela, hai visto la tua compagna solamente come una competitrice che dovevi mettere fuori combattimento; effettivamente, guardavi a questa sedia come se fosse la tua ultima battaglia sulla terra; come se possederla fosse la cosa più importante della tua vita. Questo è l’occhio del predatore.”
“Che cosa possiamo fare a riguardo? ” chiese l’apprendista.
“Primo dobbiamo ammettere che ne siamo capaci, che molti dei nostri atti sono atti da predatore; poi possiamo mettere l’intento su qualcosa più grande di noi. Possiamo avere la disciplina di intentare oltre l’universo del sé.”
“Guarda quella lucertola laggiù, che prende il sole” Taisha continuò, accennando nella direzione di alcuni grandi cactus che facevano da bordura al patio di mattoni. “Ma non muovere la testa troppo velocemente o scapperà via. Come noi, può sentire l’intento di altri su di sé e non vuole essere fissata. Allora volta lentamente la testa e guardala solo con sguardo periferico… Riesci a vedere la pancia salire e scendere, i suoi fianchi muoversi su e giù mentre respira?… Perché non cerchi di imitarla? Sembra gli piaccia essere qualunque cosa essa sia.”
Accomodandosi nella sedia, con la lucertola nella periferia della sua visuale, l’apprendista lentamente sentì il salire e scendere della pancia ad ogni respiro. Dopo diversi respiri, rilasciò la tensione dello stomaco e delle mascelle.
“Che cosa vedi adesso?” Taisha domandò. “Vedo tutti intorno a questa tavola” cominciò l’apprendista. Quanto si stanno divertendo e si stanno sostenendo realmente l’un l’altro con le risate e i sorrisi.”
“Niente altro?” chiese Taisha. “Sono quasi troppo imbarazzata per dirlo” sussurrò l’apprendista. “Ma ho sentito immediatamente il sostegno di tutti… forse per la prima volta. Ho sentito l’affetto cortese della mia compagna nel lasciarmi sedere qui come ha fatto. Sento i raggi del sole, l’albero fare ombra a tutti noi; la lucertola, i suoi respiri; i mattoni che ci riscaldano e ci sorreggono; i colibri mostrarci la loro lotta; il verde del cactus, i fiori condividere la loro fragranza”. “Eccellente! E che cosa vuoi fare adesso?”.
“Voglio ringraziarti, Taisha, e voglio restituire la sedia alla mia compagna.”
La giovane apprendista si alzò con garbo dal posto accanto a Taisha e andò dalla sua compagna, scusandosi e ringraziandola per averle dato la sedia.
Ora, al proprio posto, l’apprendista sfiorò con lo sguardo senza fretta il giardino e la tavola. Sentì una vibrazione di affetto, un arco di intento dove ognuno cercava e si curava degli altri.
[Copyright 2006 Laugan Productions, Inc.]
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