Lo studio dell’uomo è strettamente collegato all’idea della sua evoluzione, ma l’evoluzione dell’uomo deve essere intesa in maniera leggermente diversa dalla solita.
Normalmente la parola ‘evoluzione’ applicata all’uomo, o a qualsiasi altra cosa, presuppone un tipo di evoluzione meccanica; intendo dire che determinate cose, per effetto di certe leggi note o ignote, si trasformano in altre, queste altre cose si trasformano a loro volta ancora in altre, e così di seguito.
Ma dal punto di vista di questo sistema non c’è affatto una tale evoluzione: non parlo in generale, ma specificamente dell’uomo. L’evoluzione dell’uomo, se avviene, può essere soltanto il risultato di conoscenza e sforzo; finché l’uomo sa soltanto ciò che può sapere in maniera comune, per lui non c’è, e non c’è mai stata, evoluzione.
Lo studio serio comincia in questo sistema con lo studio della psicologia, cioè con lo studio di noi stessi, in quanto la psicologia non può essere studiata, come invece può esserlo l’astronomia, fuori di noi. L’uomo deve studiare se stesso.
Quando ciò mi fu detto, vidi immediatamente che noi non abbiamo alcun metodo per studiarci e già abbiamo parecchie idee sbagliate circa noi stessi. Perciò mi resi conto che dobbiamo liberarci dalle idee sbagliate su noi stessi e tuttavia trovare metodi per studiarci.
Vi rendete conto quanto sia difficile definire il significato di psicologia? Ci sono tanti significati, legati alle stesse parole in sistemi differenti, che è difficile avere una definizione generale. Perciò cominciamo col definire la psicologia come studio di noi stessi. Dovrete imparare determinati metodi e principi e, in accordo con questi principi e usando questi metodi, cercherete di vedervi da un punto di vista nuovo.
Se cominciamo a studiarci ci imbattiamo prima di tutto in una parola che usiamo più di ogni altra: la parola ‘io’. Diciamo ‘io sto facendo’, ‘io sto seduto’, ‘io sento’, ‘io amo’, ‘io non amo’, e così di seguito.
Questa è la nostra principale illusione, in quanto il maggior errore che facciamo riguardo a noi stessi è quello di considerarci come uno; parliamo di noi stessi come ‘io’, e supponiamo di riferirci sempre alla stessa cosa, mentre in realtà siamo divisi in centinaia e centinaia di ‘io’ differenti. In un certo momento, quando dico ‘io’, sta parlando una parte di me; e in un altro momento, quando dico ‘io’, è completamente un altro ‘io’ che parla. Non sappiamo di non avere soltanto un ‘io’, ma parecchi ‘io’ differenti, collegati con i nostri sentimenti e desideri, i quali non hanno un ‘io’ che li controlla. Questi ‘io’ cambiano continuamente; uno soffoca l’altro, uno rimpiazza l’altro, e tutta questa lotta forma la nostra vita interiore. Gli ‘io’ che vediamo in noi stessi sono divisi in vari gruppi. Alcuni di questi gruppi sono legittimi, appartengono alle giuste divisioni dell’uomo, mentre altri sono del tutto artificiali e sono creati da insufficiente conoscenza e da certe idee immaginarie che l’uomo ha di sé.
Per cominciare lo studio di sé è necessario studiare metodi di osservazione di sé, ma questa a sua volta deve essere basata su una certa comprensione delle divisioni delle nostre funzioni. La nostra idea ordinaria di queste divisioni è completamente errata. Conosciamo la differenza tra funzioni intellettuali ed emozionali. Per esempio, quando discutiamo le cose, ci riflettiamo sopra, le confrontiamo con altre, inventiamo spiegazioni o troviamo vere spiegazioni: questo è tutto lavoro intellettuale; mentre amore, odio, paura, sospetto e così via, sono emozionali. Molto spesso però, quando cerchiamo di osservarci, confondiamo addirittura funzioni intellettuali ed emozionali; quanto realmente sentiamo, chiamiamo pensare, e quanto pensiamo chiamiamo sentire.
Ma nel corso dello studio apprendiamo in qual maniera questi differiscano. Per esempio, c’è un’enorme differenza di velocità, ma ne parleremo in seguito.
Ci sono poi altre due funzioni che nessun sistema di ordinaria psicologia divide e comprende in maniera giusta: la funzione istintiva e la funzione motrice.
Quella istintiva si riferisce al lavoro interno dell’organismo: digestione del cibo, battiti del cuore, respirazione, queste sono funzioni istintive. Alle funzioni istintive appartengono anche i sensi ordinari: vista, udito, odorato, gusto, tatto, la sensazione di freddo e di caldo, cose del genere; e ciò in realtà è tutto. Tra i movimenti esterni, soltanto i riflessi semplici appartengono alla funzione istintiva, in quanto quelli più complicati appartengono alla funzione motoria.
È facilissimo distinguere fra funzioni istintive e funzioni motorie. Non dobbiamo apprendere nulla di quanto appartiene alla funzione istintiva; siamo nati con le capacità di usare tutte le funzioni istintive. Le funzioni motorie, invece, debbono tutte essere apprese: un bambino impara a camminare, a scrivere, e così via. Esiste un’enorme differenza tra le due funzioni in quanto non c’è nulla di inerente nelle funzioni motorie mentre quelle istintive sono tutte inerenti.
Quindi, nell’osservazione di sé, è necessario prima di tutto dividere queste quattro funzioni e classificare immediatamente tutto ciò che osserviamo, dicendo: “Questa è una funzione intellettuale”, “Questa è una funzione emozionale” e così di seguito.
Se praticherete questa osservazione per qualche tempo, vi potrà accadere di notare alcune cose strane.
Scoprirete, per esempio, che la cosa realmente difficile nell’osservazione è che ve ne dimenticate. Cominciate con l’osservare, le vostre emozioni si mettono in relazione con qualche tipo di pensiero, e voi dimenticate di osservarvi.
Un’altra volta, dopo un pò’ di tempo, se continuerete nello sforzo di osservare, che è una funzione nuova non usata nella stessa maniera nella vita ordinaria, noterete un’altra cosa interessante: generalmente non ricordate voi stessi. Se poteste essere consapevoli di voi stessi tutto il tempo, sareste sempre capaci di osservare, o in ogni caso finché ne avete voglia. Ma poiché non potete ricordare voi stessi, non vi potete concentrare; questo è il motivo per cui dovrete ammettere di non avere volontà.
Se poteste ricordare voi stessi, avreste volontà e potreste fare ciò che vi piace. Ma non potete ricordare voi stessi, non potete essere consapevoli di voi stessi e perciò non avete volontà. Qualche volta potrete avere volontà per breve tempo, ma questa si rivolge verso qualcos’altro e voi la dimenticate.
Questa è la situazione, lo stato di essere, lo stato da cui dobbiamo cominciare lo studio di noi stessi. Molto presto però, se continuerete, arriverete alla conclusione che proprio quasi fin dal principio dello studio di voi stessi dovrete correggere determinate cose in voi che non sono giuste, sistemare certe cose che non stanno al loro posto.
Il sistema ha una spiegazione per ciò.
Siamo fatti in modo tale da poter vivere in quattro stati di consapevolezza, ma così come siamo, ne usiamo soltanto due: uno quando dormiamo, l’altro quando siamo ciò che chiamiamo ‘svegli’: cioè nello stato presente, quando possiamo parlare, ascoltare, leggere e così via.
Ma questi sono soltanto due dei quattro stati possibili. Il terzo stato di consapevolezza è assai strano. Se qualcuno ci spiega cos’è il terzo stato di consapevolezza, cominciamo col pensare di averlo. Il terzo stato può essere chiamato consapevolezza di sé e la maggior parte delle persone, se interrogate, dice: “Certo che siamo consapevoli!”. Occorre tempo sufficiente, o ripetuti e frequenti sforzi di osservazione di noi stessi, prima che riconosciamo il fatto di non esser consapevoli, di esserlo soltanto potenzialmente. Se ci viene chiesto, diciamo: “Sì, lo sono”, e in quel momento lo siamo, ma il momento successivo cessiamo di ricordare e non lo siamo più. Quindi nel processo di osservazione di noi stessi ci rendiamo conto di non essere nel terzo stato di consapevolezza, di vivere soltanto in due stati. Viviamoo nel sonno o nella veglia; il che, nel sistema, è chiamato consapevolezza relativa.
Il quarto stato, chiamato consapevolezza obiettiva, ci è inaccessibile perché può essere raggiunto solamente mediante consapevolezza di sé, divenendo cioè prima consci di noi stessi, in modo che in seguito possiamo riuscire a raggiungere lo stato obiettivo di consapevolezza.
Così, oltre che con l’osservazione di noi stessi, cerchiamo di essere consci di noi stessi mantenendo la sensazione di ‘io sono qui’: niente altro. Questo è il fatto che è sfuggito a tutta la psicologia occidentale, senza la minima eccezione.
Sebbene parecchie persone vi siano giunte vicino, esse non hanno riconosciuto la sua importanza e non si sono rese conto che lo stato dell’uomo, come egli è, può essere cambiato: l’uomo può ricordare se stesso se ci prova a lungo.
Non è una faccenda di un giorno o di un mese. E uno studio lunghissimo, uno studio su come rimuovere gli ostacoli, perché noi non ricordiamo noi stessi, non siamo consapevoli di noi stessi, a causa di parecchie funzioni sbagliate nella nostra macchina, e tutte queste funzioni devono essere corrette e regolate. Allorché la maggior parte di queste funzioni è stata corretta, questi periodi di ricordo di sé si faranno sempre più estesi, e se diverranno sufficientemente lunghi, acquisteremo due nuove funzioni.
Con la consapevolezza di noi stessi, che è il terzo stato di consapevolezza, acquistiamo una funzione chiamata superiore emozionale, anche se è egualmente intellettuale, perché a questo livello non c’è differenza tra intellettuale ed emozionale, come al livello ordinario.
E quando arriviamo allo stato di consapevolezza obiettiva acquistiamo un’altra funzione chiamata superiore mentale. Fenomeni di ciò che io chiamo psicologia supernormale appartengono a queste due funzioni; questa è la ragione per cui, quando io effettuai quegli esperimenti venticinque anni fa, arrivai alla conclusione che il lavoro sperimentale è impossibile, perché non è questione di esperimenti, ma di cambiare il proprio stato di consapevolezza.
(Da: La Quarta Via – Piotr Demianovich Ouspensky)
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– Aforismi di G. I. Gurdjieff (1869-1949)
– Georges Ivanovic Gurdjieff (wikipedia)
– Fonte