Il dialogo che segue si svolse ad Abottabad tra Gandhi e il dr Fabri, un archeologo ungherese che, oltre ad essere autore di scoperte archeologiche, per molti anni lavoro’ alle dipendenze del Dipartimento archeologico dell’India, collaborando alla riorganizzazione del museo di Lahore. “Scavando” in profondita’ nella cultura buddhista era diventato razionalista. In precedenza aveva intrattenuto una corrispondenza epistolare con Gandhi, e aveva anche digiunato in solidarieta’ con lui. Era venuto ad Abbottabad apposta per incontrare il Mahatma. In particolare, era interessato alla forma e al contenuto della preghiera e desiderava ardentemente sapere in che modo Gandhi pregasse.
“Si puo’ mutare la volonta’ divina con la preghiera? Si puo’ conoscerla pregando?”
“E’ difficile spiegare che cosa faccio quando prego, ma cerchero’ di rispondere alla vostra domanda. La volonta’ divina e’ immutabile, ma la divinita’ e’ in tutto e in tutti, tanto nelle cose animate, quanto in quelle inanimate. Per me, pregare significa evocare in me stesso questa divinita’. Ora, io posso averne una convinzione intellettuale, ma non un’esperienza reale. Cosi’, quando prego per l’indipendenza dell’India, esprimo il desiderio di giungervi, o almeno di dare il mio massimo contributo per conquistarla e, nello stesso tempo, testimonio la fede di poter ottenere una tale forza in risposta alla mia preghiera.”
“Allora non e’ giusto che la chiamiate preghiera”, replico’ il dr Fabri. “Pregare significa implorare, domandare.”
“Si’, proprio cosi’. Potete dire che imploro me stesso, il mio Se’ superiore, il vero Se’, con cui non ho ancora raggiunto la completa identificazione. Potete, percio’, definire la preghiera come un continuo anelito di perdersi nella divinita’ che tutto comprende.”
“E per esprimere questo usate un’antica formula?”
“Si’. L’abitudine di una vita ha il suo peso, e, consentitemi di dirlo, prego un potere che sta fuori di me. Sono parte dell’infinito, ma ne sono una particella tanto infinitesima da sentirmi fuori di esso. Sebbene ve ne possa dare una spiegazione intellettuale, senza l’identificazione con la divinita’ mi sento tanto piccolo da ritenermi una nullita’. Se mi capita di dire che “io faccio” questa o quell’altra cosa, mi sovviene subito la consapevolezza della mia inettitudine, della mia nullita’, e sento che qualcun altro, un potere superiore, deve aiutarmi.”
“Tolstoj dice la stessa cosa. La preghiera, in realta’, e’ meditazione profonda e dissoluzione nel supremo Se’, sebbene occasionalmente possa scadere in un’implorazione, come quella di un bimbo al proprio padre”
“Perdonatemi”, disse Gandhiji, interrompendo il dottore buddhista, “io non lo chiamerei uno scadere. E’ molto piu’ appropriato dire che prego un Dio che esiste in qualche posto, lassu’, tra le nuvole; che piu’ ne sono lontano piu’ struggente e’ il desiderio che ne ho e che mi ritrovo alla sua presenza col pensiero. E il pensiero, come ben sapete, e’ piu’ veloce della luce. Percio’ la distanza tra lui e me, anche se incalcolabilmente grande, viene annullata. E’ tanto lontano, e nello stesso tempo tanto vicino.
“Diventa una questione di fede; ma alcune persone, come me, sono afflitte da un acuto spirito critico”, disse il dr Fabri. “Per me non c’e’ nulla che superi l’insegnamento del Buddha e non c’e’ maestro piu’ grande. Perche’ solo il Buddha, unico fra i grandi maestri dell’umanita’, ha proclamato: ‘Non credete ciecamente a quel che dico. Non considerate alcun dogma, ne’ alcun libro, per quanto sacro, come infallibile”. Cosi’ per me non ci sono, nel mondo, libri infallibili, perche’, alla fin fine, tutti sono stati scritti da uomini, pur ispirati che fossero. Non posso percio’ credere all’idea di un Dio personale, una specie di maharaja seduto su un grande trono bianco, in ascolto delle nostre preghiere. Sono felice di sapere che la vostra preghiera e’ a un altro livello.”
In realta’ il dr Fabri apprezzava la Bhagavadgita e il Dhammapada, tanto da portare questi due testi sempre con se’.
“Lasciate che vi rammenti”, disse Gandhi, “che siete solo in parte nel vero affermando che la mia preghiera e’ a un altro livello. Vi ho gia’ detto che la convinzione intellettuale che ho tentato di descrivervi non mi e’ ininterrottamente presente: quel che c’e’ sempre, invece, e’ l’intensita’ della fede per mezzo della quale mi perdo in un Invisibile Potere. Percio’ e’ molto piu’ prossimo al vero dire che Dio ha fatto una cosa per mio tramite, piuttosto che affermare che l’ho fatta io. Nella mia vita sono avvenute cosi’ tante cose che desideravo intensamente, ma che non sarei mai riuscito a ottenere con le mie sole forze. In questo caso ho sempre detto ai miei compagni che le mie preghiere erano state ascoltate. Non ho mai detto che ‘il mio sforzo intellettuale di perdermi nella divinita’ che e’ in me’ aveva avuto successo! La cosa piu’ semplice e piu’ corretta e’, per me, dire che Dio e’ venuto in mio soccorso.
“Ma quelle cose le avevate meritate grazie al vostro karma. Dio e’ giustizia, non misericordia. Voi siete un uomo buono e quindi vi accadono cose buone”, ribatte’ il dr Fabri.
“Niente affatto. Non sono buono al punto che mi debbano accadere cose come quelle. Se mi fossi cullato in una simile convinzione filosofica del karma, avrei fatto parecchi capitomboli. Il mio karma non mi sarebbe venuto in aiuto. Anche se credo nell’inesorabile legge del karma, mi impegno a fare cosi’ tante cose che ogni momento della mia vita e’ un tentativo di creare nuovo karma, per annullare il passato e sostituirlo col presente. Percio’ e’ sbagliato dire che nel presente mi accadono cose buone perche’ e’ buono il mio passato. L’effetto del passato si esaurisce subito, e io devo costruire il futuro con la preghiera.
“Il karma, credetemi, da solo e’ impotente. Posso dire a me stesso: ‘Accendi un fiammifero’, ma non succede nulla se questo pensiero non e’ accompagnato da un atto. Ma prima che io accenda il fiammifero mi si paralizza una mano… oppure il vento mi spegne l’unico fiammifero che ho. E’ un incidente o e’ Dio, la volonta’ superiore? Beh, io preferisco adoperare le parole dei miei avi, che sono poi quelle dei bambini. Io non sono superiore a un bimbo. Possiamo cercare di darci un contegno da persone istruite, di parlare come libri stampati, ma quando veniamo al sodo, quando ci troviamo a faccia a faccia con una disgrazia, ci comportiamo come bambini: ci ritroviamo a pregare, mentre tutte le nostre opinioni intellettuali non ci danno alcun conforto.”
“So che ci sono uomini veramente evoluti cui la fede in Dio da’ un incredibile conforto e anche aiuto nella costruzione del loro carattere”, disse il dr Fabri. “Ma ci sono alcuni giganti dello spirito che possono farne a meno. Questo e’ quanto mi ha insegnato il buddhismo.”
“Ma il buddhismo non e’ altro che un’ininterrotta preghiera!” aggiunse Gandhi.
“Il Buddha esorto’ ognuno a trovare in se stesso la propria salvezza. Non prego’ mai. Lui meditava”, insistette il dr Fabri.
“Datele il nome che preferite: e’ la stessa cosa. Guardate le sue statue”
“Ma esse non corrispondono al vero!” disse l’archeologo. “Furono fatte piu’ di quattrocento anni dopo la sua morte!”
“Bene”, disse Gandhi, rifiutando di essere sconfitto da un argomento archeologico. “Fornitemi la vostra versione della storia di Buddha, cosi’ come l’avete scoperta voi: vi provero’ che il Buddha pregava. Il mero concetto intellettuale non mi soddisfa. Non ho potuto darvi una perfetta e appropriata definizione per lo stesso motivo per cui anche voi non riuscite a descrivere appieno il vostro pensiero. Lo stesso sforzo di descrivere vi limita. E’ una sfida per la vostra tendenza ad analizzare e, alla fin fine, non porta ad altro che allo scetticismo”.
“Che dire, allora, a chi non riesce a pregare?” chiese il dr Fabri.
“Siate umili”, disse Gandhi. “Questo e’ quanto vorrei dire loro. Non confinate il vero Buddha entro gli angusti limiti del concetto che ne avete voi. Non sarebbe potuto diventare il maestro di milioni di uomini, anche del giorno d’oggi, se non fosse stato umile fino al punto di pregare. C’e’ qualcosa di infinitamente superiore al nostro intelletto che governa tanto noi quanto gli scettici. Lo scetticismo, la filosofia, non aiutano nei momenti critici della vita. Anche gli scettici hanno bisogno di qualcosa di piu’, di diverso dal loro ego, che sia in grado di sorreggerli. “Percio’, se qualcuno mi ponesse questo quesito, gli direi: ‘Non conoscerai il significato di Dio ne’ quello della preghiera finche’ non ti ridurrai a zero. Devi essere umile al punto di vedere, a dispetto della tua pretesa grandezza e del tuo intelletto gigantesco, che non sei altro che un atomo nell’universo. Una mera concezione intellettuale della vita non e’ sufficiente. E’ la concezione spirituale, che elude l’intelletto, la sola che possa dare qualche conforto.
“Anche i ricchi hanno nella vita momenti critici: sebbene siano circondati da tutte le cose che il denaro puo’ comprare e che l’affetto puo’ dare, anch’essi hanno momenti in cui si trovano disperati. In questi momenti c’e’ un’apparizione fugace di Dio, una visione di Colui che guida ogni nostro passo nella vita. Quest’apparizione e’ la preghiera”.
“Intendete forse dire che si puo’ definire veramente religiosa solo quell’esperienza che supera il mero concetto intellettuale?” disse il dr Fabri. “Due volte, nella vita, ho fatto un’esperienza del genere, ma poi l’ho perduta. Ora trovo grande conforto in due detti del Buddha, che sono: ‘L’egoismo e’ la causa del dolore’, e ‘Ricordate, monaci, che tutto e’ transitorio’. Questi pensieri prendono, in me, quasi il posto di una fede.”
“E questa e’ preghiera!” disse Gandhi trionfante.
(Harijan, 19/9/1939)
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