“La felicità è l’assenza di resistenza e di insoddisfazione, cioè lo stato naturale del sé, non qualcosa di diverso dal nostro essere. La felicità è ciò che siamo.
Se non interviene il pensiero, la presenza consapevole che è il vero sé non oppone mai nessuna resistenza alla situazione in atto, perché è profondamente fuso con essa. Dice sì a tutto ciò che si manifesta; o meglio, il fatto che una cosa si manifesta significa che la presenza ha già detto sì. Questo ‘sì’ è la felicità, perché non conosce resistenza e non desidera cambiare la situazione in atto. Questa felicità è presente in tutte le situazioni, è lo stato naturale dell’esperienza che precede il pensiero che fa resistenza o che desidera il cambiamento […]. La felicità, come la pace, è intrinseca al sé, anzi, è il sé. […] È sempre presente al nucleo di tutte le esperienze, benché apparentemente velata da queste ultime […].
Il motivo per cui non la notiamo è che spesso rifiutiamo l’esperienza in atto e cerchiamo di sostituirla con un’altra migliore. […] Il desiderio di felicità che caratterizza gran parte delle nostre azioni è in realtà il desiderio di assaporare la felicità sempre presente nella nostra vera natura, ma temporaneamente velata dal rifiuto della situazione attuale, dal rifiuto del questo e dell’adesso.
La continua ricerca della felicità […] nega la felicità presente in questo momento nel nostro essere, ci condanna a continuare in eterno questa ricerca […].
L’esperienza dell’assenza di separazione tra il sé e ciò che viene percepito, è ciò che chiamiamo amore. In genere concepiamo l’amore come la vicinanza e l’intimità del rapporto tra due persone, dove è invece la condizione naturale di tutti i rapporti e tutte le esperienze.
L’amore non è selettivo, solo il pensiero lo è. L’amore è comprensione, profondamente sentita, che l’esperienza non è fatta di due cose separate […]. È la scomparsa di questa apparente dualità, o meglio la comprensione profonda che tale separazione non è mai esistita e che è stata semplicemente sovrapposta dal pensiero sulla vera natura dell’esperienza. Liberata da questa erronea visione, ogni esperienza si rivela essere amore, un amore che è tutto ciò che abbiamo sempre conosciuto. […]
Se […] osserviamo da vicino e con sincerità i nostri pensieri e azioni, vediamo che sono quasi tutti orientati a ottenere pace, felicità e amore, ma attraverso la manipolazione delle situazioni e la ricerca di oggetti o rapporti futuri. Proprio questa proiezione in un immaginario futuro vela la pace, la felicità e l’amore già presenti al cuore di ogni esperienza attuale. […]
Il presente è il sé. Noi non siamo presenti adesso, noi siamo l’adesso. […] Il vero e unico sé è intrinsecamente libero da motivazioni, scopi o programmi, ma è ciò […] a cui si dirigono. […]
Possiamo definire l’illuminazione l’assenza di opposizione a ciò che è, la totale intimità con tutto ciò che avviene […].
Non è necessario, né possibile, ‘praticare’ per essere il sé: siamo già presenza consapevole, un tutt’uno con ogni esperienza. […]
Per anni ci siamo esercitati a essere un io separato e interno al corpo-mente, ripetendo continuamente questa parte e trasformandola in una seconda natura, per conto della quale pensiamo, agiamo e ci mettiamo in rapporto con le cose. Ma questo io separato era solo un prodotto dell’immaginazione; era il pensiero. […]
Non esiste nessun soggetto diverso dall’esperienza che possa conoscerla rimanendone a distanza. L’esperienza è la massima intimità […]. L’esperienza non è divisa in un conoscitore e un conosciuto: c’è soltanto il puro fare esperienza. Io, la presenza consapevole e l’esperienza siamo una sola e identica cosa. […]
I problemi […] sono relativi soltanto all’io separato immaginato dal pensiero. È il pensiero che divide l’esperienza in ‘me’ e ‘non me’ […]. Se non c’è questa divisione immaginaria dell’esperienza, c’è l’intimità dell’esperienza del vedere, udire, toccare, pensare, sentire e così via”.
– Dal testo di Rupert Spira, La presenza consapevole
– Rupert Spira in Italiano (facebook)
– Fonte