Il grande maestro indiano Nisargadatta Maharaj una volta disse: «La saggezza mi dice che sono niente. L’amore mi dice che sono tutto. Tra questi due fluisce la mia vita».
«Io sono niente» non vuol dire che dentro di noi ci sia solo un terreno incolto e brullo. Significa che, con consapevolezza, ci apriamo a uno spazio libero e senza impedimenti, senza centro né periferia — niente di separato. Se siamo niente, non c’è niente che possa fare da barriera alla nostra sconfinata espressione d’amore. Così, essendo niente, siamo anche, inevitabilmente, tutto. «Tutto» non significa un delirio di onnipotenza, ma il riconoscimento decisivo dell’interconnessione; non siamo separati. Entrambe le cose, sia lo spazio aperto e libero del «niente» sia l’interconnessione del «tutto» ci risvegliano alla nostra vera natura. Questa è la verità con cui ci mettiamo in contatto quando meditiamo: un senso di unità oltre la sofferenza. È sempre presente; dobbiamo soltanto riuscire ad accedervi.
(Sharon Salzberg)
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