“Niente accade come l’avremmo voluto né come l’avevamo previsto. Nella nostra famiglia nasce un mongoloide. Una persona vicina muore. Scoppia una guerra. Perdiamo il nostro impiego o temiamo di perderlo. Per strada vediamo mendicanti, povera gente che non ha casa per dormire la notte. Potremmo essere al loro posto. Cadiamo in miseria. Siamo al loro posto. Ci ammaliamo. Siamo scontenti del nostro lavoro o infelici in amore. Non siamo liberi.
I nostri genitori sono indegni, abbiamo sempre di che rimproverarli. I nostri figli ci deludono. Siamo stanchi, lavoriamo troppo. Abbiamo pesanti responsabilità. Non abbiamo abbastanza tempo ‘per noi’. Il nostro partner ci lascia. Siamo soli da molto tempo. Diventeremo vecchi, molto vecchi. Non abbiamo realizzato i nostri sogni. Moriremo. Niente va veramente bene. Non vi sono che soluzioni provvisorie. Tutto crolla e si disfa, lentamente o bruscamente. Quando gli eventi vanno esattamente per il verso che vogliamo, abbiamo fortuna, è tutto, ed è temporaneo. Ma troviamo sempre un motivo d’insoddisfazione. Anche quando tutto va per il meglio abbiamo paura. Rifiutiamo di accettare che il caos è normale, che si tratta della situazione base. Più teniamo a che le cose siano esattamente come le vorremmo, più la sofferenza aumenta. Vorremmo tanto che gli eventi si conformassero all’ordine che abbiamo promulgato, alle immagini che disegniamo nelle nostre teste, alle parole che pronunciamo, ai concetti che fabbrichiamo. Siamo bambini viziati, dittatori. Perché le cose dovrebbero andare in modo diverso da come vanno? Cos’è questo sogno di un mondo senza morte, senza malattia, senza vecchiaia, senza nascita, senza incidenti, senza disordine, senza invenzioni, senza novità, senza sparizioni, senza sorpresa, senza errore, senza sofferenza, dove tutto si sviluppa esattamente secondo i nostri desideri? Non è il mondo reale ma il desiderio a non essere ragionevole. Quando diventeremo adulti?
[…] L’errore consisterebbe nel credere che «siamo» questa persona che vediamo nello specchio, che siamo un’immagine, o anche che potrebbero esserci immagini o rappresentazioni di noi stessi, mentre «siamo» la nostre esperienza, questo flusso indescrivibile. O piuttosto «c’è» la nostra esperienza, c’è l’istante e nient’altro.
[…] Rinuncia continuamente alla tua identità. Non sei né un uomo, né una donna, né un bambino, né un vecchietto, né un francese, né un americano, né il rappresentante di alcuna nazionalità, né un ebreo, né un cristiano, né un buddhista, né una buona persona, né il membro di qualsiasi categoria, né chicchessia che dovrebbe somigliare al tale o al talaltro. Esiste questa sensazione, quest’altra sensazione, poi ancora un’altra, e non sei né l’una né l’altra, né la seguente né la loro successione. Lo spazio dove nascono i pensieri non ha viso. La luce della coscienza è impersonale. Torna alla terra, al contatto con il suolo. Dove sei? Sei qui. Chi sei? Sei qui. Qui.
Se esiste solo il presente, non vi è sostanza.
[…] Siamo estranei a noi stessi come alla nostra vita. Siamo una persona qualunque gettata in un luogo qualsiasi. Non siamo nemmeno «qualcuno». Siamo una sensibilità anonima, carne viva esposta a una rapsodia di stranezze. E siamo così, proprio come siamo“.