«Siete in un prato e osservate una formica che cerca faticosamente di scalare un filo d’erba, sempre più su fino a cadere; ogni volta che cade, la formica riprende a salire, come Sisifo con la sua pietra, compiendo ogni sforzo per giungere in cima. Perché lo fa? Quale beneficio spera di ottenere da un’attività così faticosa e poco promettente? La domanda si rivela sbagliata. La formica non ottiene alcun beneficio biologico: non cerca una migliore veduta del territorio, per esempio; non cerca del cibo e non cerca nemmeno di farsi notare da un potenziale compagno.
Il suo cervello ha obbedito ai comandi di un minuscolo parassita, un trematode di forma lanceolata (Dicrocelium dendriticum), che ha bisogno di farsi portare nello stomaco di una pecora o di una mucca per completare il suo ciclo riproduttivo. Questo piccolo verme del cervello sta guidando la formica a destinazione per beneficare la propria progenie, non certo quella della formica. Non si tratta di un fenomeno isolato. Ci sono altri parassiti manipolatori che infettano, fra gli altri, pesci e topi. Questi autostoppisti inducono le loro vittime a comportarsi in modi bizzarri – o perfino suicidi – e in tutto a beneficio dell’ospite, non del portatore.
Agli esseri umani non capita qualcosa di simile?»
Chi crede in Dio ha buone ragioni per farlo? Qual è il terreno psicologico e culturale in cui la religione ha messo radici? Si tratta di un cieco istinto evolutivo o di una scelta razionale? In questo libro, al centro del dibattito sull’ateismo, Daniel Dennett indaga il modo in cui la religione si è evoluta a partire da credenze popolari e sostiene che la fede non è che un risultato dell’evoluzione darwiniana. Una tesi provocatoria destinata a far discutere credenti e non credenti.
(Da: Rompere l’incantesimo. La religione come fenomeno naturale – Daniel C. Dennett)
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