Almeno una volta nella vita a tutti è capitata una strana coincidenza, durata un attimo appena, che ci ha fatto sorridere o ci ha meravigliati. Per esempio, una canzone trasmessa alla radio proprio nel momento in cui ci era tornata in mente, oppure una telefonata di un’amica che non sentivamo da tanto e alla quale avevamo pensato poco prima. O, ancora, una coincidenza scritta nero su bianco, proprio com’è successo a Saundra.
Una sera, a casa di suo padre, Saundra stava terminando una cena presa al take away cinese, e mentre faceva zapping s’imbatté ne Il mago di Oz, così inviò un SMS a sua sorella per dirle che in TV davano uno dei loro film preferiti. La sorella rispose subito, ricordando quante volte l’avevano visto insieme alla madre, scomparsa da poco: «Mamma ci preparava sempre i popcorn…» Proprio mentre stava leggendo il messaggio, Saundra aprì un biscotto della fortuna e vi trovò una piacevole sorpresa: sul biglietto c’era scritta la parola «popcorn».
Era appena accaduto qualcosa di speciale, e quando Saundra lo raccontò alla sorella in un altro SMS, entrambe percepirono la presenza e l’affetto della madre.
Per gran parte della mia vita mi sono interessato a coincidenze di questo tipo. Ho cercato di trarne un senso, di capire qual è il modo migliore per utilizzarle e per spiegarle sia agli scettici sia a chi crede significhino qualcosa.
Anch’io ho sperimentato delle coincidenze, ma nessuna è stata più sorprendente di quella che mi è capitata alle undici di sera del 25 febbraio 1973. Avevo trentun anni. All’improvviso mi ritrovai piegato in due sul lavandino della cucina di una vecchia casa vittoriana nei pressi di San Francisco. Qualcosa mi si era bloccato in gola e mi stava soffocando, e nemmeno tossendo riuscivo a liberarmene. Non stavo mangiando, quindi non capivo che cos’avessi in gola. Mai mi era successa una cosa simile, e durò parecchio. Solo dopo un quarto d’ora potei deglutire e respirare normalmente.
Il giorno dopo, che era anche il mio compleanno, mio fratello mi telefonò e mi disse che nostro padre era morto nel Delaware alle due di notte. Gli Stati Uniti hanno diversi fusi orari, e quando nel Delaware, dove viveva mio padre, sono le due di notte, in California sono ancora le undici di sera. Papà aveva avuto un’emorragia in gola, e il sangue l’aveva soffocato quasi nello stesso momento in cui io lottavo per riprendere a respirare.
Fu solo una coincidenza? No. La sovrapposizione dei due eventi era troppo precisa, e ciò che provai in quei momenti fu troppo forte. Volevo bene a mio padre, ma non credevo che il nostro rapporto potesse trascendere fino a quel punto il tempo e lo spazio. Allora cominciai a domandarmi se anche altre persone avevano avuto esperienze simili.
Mentre tornava a casa in treno, uno svizzero di Zurigo fu improvvisamente colpito dalla visione angosciante di qualcuno che stava annegando. Appena giunto a casa venne a sapere che il nipote aveva rischiato di annegare nel lago davanti casa sua all’incirca nel momento in cui lui aveva avuto quella spaventosa visione.
Il protagonista di questo episodio era lo psichiatra Carl Gustav Jung, il quale poi coniò il termine «sincronicità» per indicare un ampio spettro di strane coincidenze. Jung ha vissuto direttamente molti di questi eventi, ma nei suoi scritti si è concentrato soprattutto sulla speculazione teorica.
Noto come il principale studioso delle coincidenze, Jung ha messo a punto la teoria della sincronicità attingendo da idee complesse derivate dalla fisica quantistica e dalla filosofia antica, unite alla sua concezione dell’inconscio collettivo e degli archetipi. Lo psichiatra svizzero ha inoltre dimostrato che nel corso della storia e nelle culture più diverse si sono verificate molte coincidenze significative e riconosciute.
Anch’io mi sono addentrato nella stessa «foresta» in cui è penetrato Jung, ma seguendo un percorso diverso.
Sono cresciuto a Wilmington, nel Delaware, dove ha sede la DuPont Company, che era al centro di tutto. A scuola ci mostravano documentari sulla storia di questa azienda, che agli inizi produceva polvere da sparo. Mi piaceva la chimica, tanto che mi laureai in questa disciplina allo Swarthmore College.
Se fossi rimasto nel settore sarei diventato un chimico, oppure un ingegnere chimico. Il chimico elabora nuove idee e inventa nuove molecole; l’ingegnere chimico studia il modo di applicarle. Quanto a me, ho scelto la strada più pratica, ma non in campo chimico: sono diventato uno psichiatra, professione in cui le sostanze chimiche sono spesso utilizzate per aiutare i pazienti.
Occupandomi della mente delle persone, ho cominciato a notare le strane coincidenze che capitavano sia a me sia ai miei pazienti.
La mia passione per questo argomento è cresciuta al punto che nel 2007 ho avviato una ricerca sulle coincidenze all’Università del Missouri-Columbia. I risultati sono stati poi pubblicati in due numeri della rivista scientifica Psychiatric Annals, di cui ero redattore. Il background tecnico che avevo maturato all’università mi ha permesso di utilizzare i risultati di quelle ricerche per dare un senso pratico alla mole di coincidenze che avevo raccolto. Per questo mi considero l’ingegnere che sviluppa le teorie di Jung.
Come ho potuto scoprire dalla mia ricerca, almeno a un terzo della popolazione capitano spesso strane coincidenze. Esistono persino delle app per gli smartphone che aiutano a tenerne traccia. «Che coincidenza!» «Quali sono le probabilità che questa cosa possa accadere?» «Voglio raccontarvi una coincidenza che mi è capitata.»
Ma che cosa intende la gente quando usa il termine «coincidenza»?
Per alcuni le coincidenze sono frutto della casualità. Per queste menti razionali l’universo funziona come un orologio, e le leggi della probabilità descrivono il funzionamento della Grande Macchina. Quindi per loro si tratta «soltanto» o «semplicemente» di coincidenze. Altri, invece, credono che le coincidenze più significative siano dovute al volere divino. Ma tra l’ipotesi di Dio e quella della casualità c’è un ampio raggio di teorie.
Lo studio delle coincidenze, a cui cerco di dare il mio contributo, è un settore emergente che presuppone rapporti tra mente e ambiente molto più stretti di quanto oggi si accetti in psichiatria e psicologia.
La nostra percezione delle coincidenze nasce dal vortice di informazioni che scaturisce nella mente quando si confronta con il vortice di eventi nell’ambiente circostante.
È come se due mani diverse regolassero le lancette di due orologi che per un istante si sincronizzano: si ha una fugace sovrapposizione tra mente attiva e un dato evento, e il nostro cervello riconosce tale sovrapposizione come una strana coincidenza. Questa corrispondenza appare spesso improbabile, ma una coincidenza è qualcosa di più della fortuita sovrapposizione di due eventi simili, perché questi devono essere collegati da un nesso significativo, legato alla vita di chi ne fa esperienza.
Sono molti i volumi che raccolgono aneddoti su coincidenze sorprendenti, o che sostengono teorie specifiche. Questo libro però è diverso.
Ho scelto storie di coincidenze tratte da varie fonti per capire come si sono verificate e perché con quelle modalità precise. Analizzando queste storie ho potuto individuare gli elementi chiave che fanno accadere le coincidenze, senza tralasciare le caratteristiche delle personalità coinvolte e i fattori contestuali che ne aumentano la frequenza.
Tutti questi aspetti hanno rivelato una coerenza tale da farmi capire che siamo noi a creare le nostre coincidenze, come e quando vogliamo.
(Da: I Messaggi delle Coincidenze – Bernard Beitman)
Bernard D. Beitman è il primo psichiatra dopo Carl Jung ad aver tentato di sistematizzare lo studio delle coincidenze. Ha sviluppato la prima scala per misurare la sensibilità alle coincidenze e ha pubblicato diversi articoli su Psychiatric Annals. Ha scritto o curato sedici libri scientifici, è visiting professor presso la University of Virginia ed ex presidente del Dipartimento di Psichiatria presso la University of Missouri-Columbia. Ha frequentato la Yale Medical School.