Come si può apprendere lo zen quando, in realtà, non v’è nulla d’apprendere? Come si può diventare buoni discepoli quando, di fatto, non v’è alcun “ego” che si dichiari o ritenga maestro cui obbedire né, tantomeno, nessuno da seguire? Come si può aderire alla disciplina di un insegnante zen quando l’insegnamento stesso sembra, a tratti, così effimero da lasciar perplesso chiunque, finanche il più ubbidente e zelante dei cosiddetti allievi? Domande che non hanno risposta … oppure quesiti che ammettono una sola replica. Sennonché conoscerla, esserne edotti, non aiuta affatto. Tuttavia averla realizzata è tutto. Chiaro? Il seguente racconto vi aiuterà a … confondervi meglio.
“Un maestro di Zen che si chiamava Gettan visse verso la fine dell’era Tokugawa. Egli soleva dire: «Ci sono tre specie di discepoli: quelli che insegnano lo Zen agli altri, quelli che hanno cura dei templi e dei santuari, e poi ci sono i sacchi di riso e gli attaccapanni». Gasan espresse la stessa idea. Quando studiava con Tekisui, il maestro era molto severo. Qualche volta lo picchiava persino. Altri allievi non sopportavano questo genere di insegnamento e se ne andavano. Gasan rimaneva dicendo: «Un discepolo di poco valore utilizza l’influenza dell’insegnante. Un discepolo mediocre ammira la bontà di un insegnante. Un buon discepolo diventa forte sotto la disciplina di un insegnante».”
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