Un breve racconto sul valore del silenzio come meditazione.
«Una piccola storia, che risale a circa due, o trecento anni fa. Un economo era impiegato in un palazzo, in India. Morì, ed il figlio, molto giovane, dovette subentrare al suo lavoro. Era un giovane intelligente, ben istruito, attratto dalla vita spirituale. Aveva studiato la lingua del proprio paese – il tamil – ed anche il sanscrito. Si era ben preparato per la ricerca spirituale.
Pur obbligato a lavorare nel palazzo, trascorreva ogni giorno al tempio, vi pregava e, quindi, ritornava nella dimora. Erano nate, nei suoi riguardi, delle difficoltà nel palazzo perché la regina si era innamorata di lui. Egli non cercava attaccamenti di quel genere; ciò lo turbava e costituiva la ragione per la quale egli trascorreva lunghe ore nel tempio.
Un giorno, scorse, nell’angolo del tempio, assiso nella postura del padmasana, un maestro, assorbito nella meditazione. Era la prima volta che notava quella persona. Si sentì pieno di curiosità, mentre, tra l’altro, provava un forte desiderio di ricevere un consiglio spirituale. Si sedette, di conseguenza, davanti a quello. Le ore trascorsero: mezzanotte, l’una, le due, le tre. Dopo circa quattro ore, il santo aprì gli occhi. Vide un giovane seduto davanti a lui, e se ne stupì:
“Figlio mio, perché ti trovi qui? – gli domandò. “Maestro, vorrei ricevere un vostro consiglio spirituale. “Resta tranquillo” – fu la sola risposta.»
Quel Maestro parlava del silenzio, del grande valore del silenzio e intendeva indicargli la necessità di meditare in silenzio, ovverosia di praticare il silenzio come meditazione.
Tratto da “Il silenzio e la vita spirituale” – di Swami Ritajananda – (da una conferenza di Swami Ritajananda, apparsa nel n° 61 di Vedanta, del 1° trimestre 1981. Swami Ritajananda (1906-1994) e’ stato Presidente del Centro Vedantico Ramakrishna dal 1962 al 1994)
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