Dopo vari interventi di grandi esperti, durante un’assemblea di teologia, venne data la parola anche a un saggio sufi, tenuto nella più alta considerazione anche negli ambienti ortodossi, affinché esponesse la sua visione della religione.
«Vi ringrazio per avermi dato la possibilità di parlare, perché ho una cosa importante da comunicarvi!», disse il Sufi scrutando il volto dei partecipanti. «Il vostro dio sta sotto le mie scarpe!».
Un boato d’indignazione seguì quell’affermazione. «Com’è possibile che un maestro di così grande prestigio spirituale proferisca una bestemmia del genere?», gli chiesero attoniti alcuni teologi. «A morte il blasfemo!», gridarono i più invasati. Ma il maestro sufi si limitò semplicemente a dire: «Risponderò di quanto ho detto davanti a un tribunale pubblico».
Il giorno seguente, dopo aver passato la notte in prigione, venne portato in tribunale, allestito nella piazza della città, ove era presente il Gran Giudice, l’intero collegio di magistrati, tutte le più alte cariche dell’amministrazione del Paese, eminenti teologi e una folta schiera di gente comune accorsa all’evento.
«Hai il coraggio di ripetere l’affermazione di ieri?», chiese il Gran Giudice. «Il vostro dio sta sotto le mie scarpe!»
«Ma che significa tutto ciò?», domandò il Gran Giudice cominciando a irritarsi.
«Mandate qualcuno a togliermi le scarpe e fategli dire ad alta voce ciò che vi trova!», rispose il Sufi.
Gli tolsero così le scarpe. E ciò che vi trovarono lasciò tutti di stucco: una moneta d’oro per ciascun piede.
Il Gran Giudice comprese e sentenziò: «Il Sufi oggi ci ha dato un gran insegnamento. Ci ha mostrato che, nonostante ci reputiamo alfieri dell’ortodossia, ci siamo invece ridotti ad adorare l’idolo della materialità!».
Dopo aver baciato con umiltà la mano del Sufi, il Gran Giudice ordinò di liberarlo.
(Da: “Il dito e la luna”, Gianluca Magi)
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