“Assumi una mente / che non abbia dimora”. Sengai Gibon, monaco zen del XVIII secolo.
Si dice che la comunità del Buddha
fosse composta da ottantamila individui;
anche Confucio aveva tremila discepoli.
Io siedo solitario sulla pietra muschiata fra i glicini,
e a tratti osservo le nubi che trascorrono.
* * *
Come una zucca che galleggia: mai immobile, ora sopra ora
sotto l’acqua, in balia delle onde – del tutto estranea ai
propri movimenti. Se anche venissero a prenderla il
Buddha o il Diavolo, Yao o Shun, Confucio o Mozi,
Laozi o Zhuangzi, la zucca sfuggirebbe loro di mano.
Sorprendente!
* * *
Solo per nascita. Solo nella morte.
Esisto nell’intermezzo, solo, il giorno e la notte.
L’io che nasce e muore solo
è l’io che solo abita quest’umile capanna.
* * *
Nell’eremo delle illusioni
i fiori dell’alba
sbocciano, appassiscono,
appassiscono e sbocciano.
Tutto questo è solo un sogno;
luce del mattino sui fiori
nel tempio delle illusioni.
* * *
Il semplice vivere del meditante
in una capanna:
una ciotola di riso, una tazza di tè.
Come può trovare il tempo di piantare
peschi e susini?
Eppure intorno a lui
sbocceranno i fiori.
* * *
Il mio pensiero costante:
la mente, il Buddha e tutti gli esseri,
nessuna differenza fra i tre.
* * *
Quando vedo le ombre
nel seno del grande vuoto,
come mi appare libera, e intrepida,
la luna nella notte autunnale!
* * *
A cosa paragonare la nostra vita?
A un lampo o a una goccia di rugiada…
Così penso – ma già non è più.
* * *
Assumi una mente
che non abbia dimora.
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