Il nostro sforzo costante è di passare dall’infelicità alla felicità, trasformare una vita di lotta in una vita di gioia. Le due cose però non si equivalgono: passare dall’infelicità alla felicità non è come passare dalla lotta alla gioia. Ci sono psicoterapie che vogliono trasformare un sé infelice in un sé felice. Lo Zen, come forse altre discipline e psicoterapie, ci aiuta a passare dall’infelicità del sé al non sé, che è gioia.
Avere un ‘sé’ significa essere egocentrici ed essere egocentrici, contrapponendosi quindi alle cose esterne, genera ansia e preoccupazione per se stessi. Appena l’ambiente esterno ci è sfavorevole rizziamo il pelo, reagiamo negativamente. Pensando sempre a noi stessi, siamo il più delle volte confusi. Così quasi tutti viviamo la nostra vita.
Anche se non abbiamo alcuna familiarità con l’opposto del sé (il non sé), provate a immaginare come potrebbe essere la vita del non sé. Il non sé non comporta la nostra scomparsa dal pianeta, non vuoi dire non esistere. Significa non essere né egocentrici né eterocentrici, ma centrati. La vita del non sé non è centrata su una cosa in particolare ma su tutte le cose (è il non attaccamento), così che le modalità del sé non appaiono più. Non siamo più ansiosi e preoccupati, non rizziamo il pelo, non reagiamo negativamente e, ciò che più importa, la nostra vita non è più improntata alla confusione. Per questo il non sé è gioia. Non basta, perché il non sé, non opponendosi a niente, è benefico a tutto.
Charlotte Joko Beck
– Da: Charlotte Joko Beck, “Zen quotidiano”
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