Il primo maestro tantrico che ho incontrato nel 1967 era il capo spirituale dei Nyingmapa, il grande maestro Dzogchen Dudjiom Rimpoché. Viveva a Kalimpong e le visite in quella zona erano limitate a tre giorni per i problemi di frontiera con la Cina. Dudjiom Rimpoché mi insegnò molto semplicemente tre modi di meditare che corrispondono al tantra kashmiro e dell’Oddyana, così come Padmasambhava li aveva introdotti nel Tibet nell’VIII sec.
La non-meditazione
“In una posizione confortevole, nella calma e nel silenzio, la schiena ben diritta, perfettamente disteso, la respirazione naturale, dolce e silenziosa, poni la tua attenzione in uno stato di presenza assoluta senza che la mente vaghi nei tre tempi. E’ lo stato naturale della mente che resta spontaneamente nella condizione di non-distrazione, di non-produzione, di non-meditazione”.
La meditazione del Cuore
“Se non puoi entrare subito in questo stato, concentrati su una lettera rosso fuoco nel centro del cuore, di una misura che senti appropriata. Che questa immagine sia vivamente presente. Che assorba tutta la tua attenzione”.
La concentrazione e la quiete
“Se questa meditazione è difficile, prendi un oggetto semplice, come un ciottolo o un pezzo di legno, posalo davanti a te, dirigi il tuo sguardo sull’oggetto senza sbattere le palpebre, non lasciare null’altro occupare la tua mente e poniti nella presenza in modo naturale e disteso. Guarda tutto ciò che ti si presenta senza afferrarlo e gradualmente raggiungerai la pace. Tutto ciò che emerge si libera naturalmente, senza sforzo da parte tua. Ben presto non potrai più uscire da questo stato non concettuale e non avrai più neppure il desiderio di muoverti. Sarà il segno che ti stai familiarizzando con la quiete e arriverai alla spontaneità”.
Questo insegnamento impartito a un neofita totale mi è stato molto prezioso e non ne ho mai trovati di più semplici e più profondi. Ancora oggi pratico e insegno in questo modo.
Perché la seduta?
Meditare è accedere alla parte più profonda del nostro essere che, non contaminato dalla nostra cultura, dalle nostre credenze, dalle nostre esperienze, dal nostro senso dell’ego e della separazione, si situa al di qua di tutte le scissioni tra noi e l’assoluto. È scoprire in sé lo spazio e la totalità situati a monte del pensiero differenziatore. È “cancellare la traccia della dualità” ritrovando lo stato naturale della mente.
Qual è la nostra pratica?
È svuotare il mentale dall’attaccamento a forme fisse restituendo al corpo il suo spazio regale. Il corpo coglie naturalmente la non-dualità, mentre la nostra mente non può neppure concepirla. “Il corpo è ricolmo di tutte le vie, riempito delle diverse modalità del tempo e luogo di ogni movimento speciale. Il corpo cela in sé tutte le divinità. Colui che penetra questo corpo giunge alla liberazione” dice Abhinavagupta.
Noi viviamo l’istante nella presenza non mentale, nella presenza nuda alla realtà che sfocia nella spontaneità. Alla fine nasce una gioia che non dipende più dalle circostanze esteriori. Allora giungiamo alla libertà.
– Daniel Odier –
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