La psicologia buddhista insiste a invitarci a venire a patti con il potere delle spinte inconsce e degli istinti e dell’enorme sofferenza che possono provocare. Le tre radici non salutari — attaccamento, avversione, e inganno — vanno comprese chiaramente e trasformate. E’ un processo difficile. Quelle tre radici sono le spinte inconsce primarie che danno origine a tutti gli stati mentali difficili. Attaccamento, avversione e percezione erronea danno origine a rabbia, superbia, paura, pigrizia e eccessiva indulgenza; questi a loro volta generano equivoci di percezione, dubbio, irrequietezza, attaccamento ai piaceri sottili e mentalità comparativa. Tutte queste forze inconsce possono restare allo stato latente e attivarsi quando si verificano le condizioni favorevoli.
Con la consapevolezza possiamo prendere coscienza degli impulsi di avidità, superbia o rabbia e sciogliere un po’ dei loro effetti potenti; ben presto però scopriamo che, se anche ci siamo svincolati per un attimo da quegli impulsi, essi poi ritorneranno, perché le loro radici inconsce sono rimaste intatte. La psicologia buddhista descrive la profondità e la forza che possono raggiungere quelle radici e affronta l’impresa di portarle a livello conscio, proprio come hanno fatto Freud e i suoi colleghi occidentali. Poi però gli insegnamenti buddhisti mostrano che lo sviluppo umano può fare un passo significativo al di là della consapevolezza degli impulsi e del loro adattamento, che sono il frutto che ottiene la maggior parte delle pratiche cliniche occidentali: ci insegnano che si possono trasformare quelle radici profondissime fino a raggiungere un livello di libertà sconosciuto in Occidente.
Quelle spinte potenti — paure inconsce, attaccamenti, confusioni — sono chiamate radici latenti. Con un’approfondita pratica di meditazione e di visione profonda si possono sciogliere queste radici latenti, “portando la persona a gradi maggiori di libertà detti «stadi di illuminazione». Nel primo stadio si sciolgono le confusioni sul percorso spirituale, i dubbi sulla libertà, gli equivoci sull’identità della persona; nei due stadi successivi di illuminazione si indeboliscono e poi si sciolgono le radici istintuali dell’avidità e dell’aggressività; nello stadio finale si dissolve l’ultimo attaccamento inconscio agli stati più raffinati di coscienza e a qualunque senso del «sé».
In questo processo, la pratica buddhista conduce la consapevolezza a penetrare fino al fondo vero e proprio della psiche individuale. Nei monasteri della foresta si insegna ai meditanti più esperti a esplorare deliberatamente quelle forze inconsce e a liberarsi così dal loro potere. I meditanti — che già hanno addestrato la mente a restare concentrata, a essere stabile, limpida e trasparente — esaminano il cuore, vi cercano le radici latenti della sofferenza e le sciolgono, portando sistematicamente a livello conscio le immagini di ciò che temono o odiano o bramano più profondamente. Qualunque area di sofferenza nella vita può essere oggetto di questa pratica: la portiamo alla mente, poi ne esaminiamo con cura le radici inconsce. Dov’è che quella sofferenza si fa sentire con più forza nel nostro corpo? Quali sono le emozioni, le immagini e le convinzioni che ve la mantengono? Si affrontano e si esaminano ripetutamente quelle immagini, quei sentimenti e quelle contratture fisiche tanto difficili; l’attenzione approfondita ci fa scoprire che quegli istinti e quelle spinte sono vuote, sono materiale illusorio, e dunque ci scioglie dalla loro presa, liberandoci.
La liberazione dalle tendenze inconsce è il lavoro di una vita intera. La trasformazione delle tendenze latenti che ci avvincono è la chiave della nostra liberazione; ogni volta possiamo scoprire e riscoprire, sempre più chiaramente, che quelle tendenze non sono la nostra vera identità.
(Da: Jack Kornfield, il Cuore Saggio)
– Jack Kornfield (macrolibrarsi)
– Jack Kornfield (amazon)
– https://en.wikipedia.org/wiki/Jack_Kornfield
– Fonte