“Dobbiamo tornare alla vacuità. Come? Attraverso la forma, attraverso la forma di un’azione. […] Il problema è che noi semplicemente non possiamo percepire questa azione, perché è un’attività della pura unità dell’universo. Ciò che invece possiamo comprendere è l’increspatura, la nostra vita quotidiana, la forma delle azioni. L’unica via per tornare al punto di partenza è tuffarsi nell’oceano e diventare tutt’uno con l’oceano. Ecco perché la forma è importante.
[…] Attraverso la forma tornare al punto di partenza della nostra presenza […].
[…].
Una volta un maestro zen disse: «Pensate il non-pensiero». Un monaco domandò: «Che vuol dire ‘pensare il non-pensiero?’». Il maestro zen rispose: «Non pensare».
Quando siete seduti in zazen, non pensate. […] Questo non significa distruggere il pensiero o astenervi dal pensare. Riposatevi; non immischiatevi.
Finché vivrete, il pensiero emergerà costantemente; ma non vi immischiate, non vi contrapponete. Se dite: «Non dovrei pensare», è già pensare. Non dovete far altro che sedervi in pace e in armonia momento per momento. Allora non c’è spazio per pensare. Questo è «pensare il non-pensiero».
Naturalmente, se pensate davvero di non pensare diventerete presuntuosi, perché poi potreste pensare: «Ce l’ho fatta! Mi sono illuminato!». Facilmente verrà fuori un atteggiamento di orgoglio. […] Allora, che fare? Non pensate. Non pensare significa: […] sedetevi. Non c’è altro da fare.
[…] Cercate semplicemente di essere presenti nel mondo. Noi lo chiamiamo ‘nonpensiero’. […] Ma fate attenzione. Ogni giorno, momento per momento, fate attenzione, perché la coscienza egocentrica riemerge sempre.
[…]
Una sfera cambia continuamente, rotola, agisce. La vita umana è così. […]
La sfera […] agisce, ma anche se sembra in movimento il centro è sempre immobile. Questa immobilità la chiamiamo samādhi [=realizzazione]. […]
La presenza mentale è strettamente legata al samādhi e alla saggezza. Senza presenza mentale il samādhi, che è perfetta immobilità, è impossibile.
[…] Presenza mentale, consapevolezza, vuol dire tendere al centro, qualunque cosa facciate. Di solito la mente va in molte direzione; invece di uscire all’esterno in ogni direzione andiamo dentro. E cioè: osservate l’azione di camminare [o qualsiasi altra azione facciate] mentre si svolge in questo momento. Questo è tendere a un ideale splendido della vita umana. La pratica buddhista, nello zazen e nella vita quotidiana, è questa”.
Il punto fondamentale su cui Katagiri insiste è quello della manifestazione dell’illuminazione proprio qui, ora, nella nostra routine quotidiana. La pratica zen della meditazione seduta (zazen) non è dunque un mezzo in vista di un fine, ma è l’attività dell’illuminazione stessa. In ogni pagina Katagiri ripete energicamente il suo messaggio: “”Il Buddha è la tua vita quotidiana””.
(Da: Ritorno al silenzio. La pratica dello zen nella vita quotidiana – Dainin Katagiri)
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– Fonte