«La concentrazione consiste nel rivolgere l’attenzione a un determinato oggetto e nel mantenerla focalizzata su un punto (ad esempio il ritmo tranquillizzante della normale respirazione) finché ci si immedesima con quel segnale e la percezione di un soggetto e un oggetto separati sfuma. Nella meditazione vipassana, la consapevolezza ha invece a che vedere con l’apertura della mente. Non ci si concentra più su un solo oggetto ma si osserva in profondità contemplando i fenomeni condizionati che vanno e vengono e il silenzio della mente vuota. Per far questo bisogna lasciare andare l’oggetto; non ci si aggrappa a un oggetto particolare, ma si osserva che tutto ciò che sorge svanisce. Questa è la meditazione di consapevolezza, o vipassana.
Nella pratica che definisco “ascolto interiore”, si ascoltano i rumori che emergono nella mente, il desiderio, le paure, i contenuti repressi a cui non è stato mai permesso di emergere pienamente alla coscienza. Adesso però, anche se affiorano pensieri ossessivi, timori o altre emozioni, siate disposti a farli emergere alla coscienza e a lasciarli cessare spontaneamente. Se non c’è nulla che viene e va, dimorate semplicemente nel vuoto, nel silenzio della mente. Potrete udire una vibrazione ad alta frequenza nella mente, che è sempre presente e non è un suono prodotto dall’orecchio. Quando lasciate andare le condizioni della mente potete rivolgere l’attenzione a quel suono. Ma riconoscete onestamente le vostre intenzioni. Quindi, se vi rivolgete al silenzio, al suono silenzioso della mente, spinti dall’avversione per le condizioni, state ancora una volta reprimendo e non è un processo di purificazione.
Se l’intenzione è scorretta, anche se vi concentrate sul vuoto non avrete buoni risultati perché siete andati fuori strada. Non avete riflettuto saggiamente, non avete lasciato andare nulla, vi state solo ritraendo per avversione, è come se uno dicesse: “Non voglio vedere” e si voltasse dall’altra parte.
Si tratta quindi di una pratica paziente in cui siamo disposti a tollerare ciò che sembra intollerabile. È uno stato di vigilanza interiore, è osservare, ascoltare, sperimentare. In questa pratica quello che conta è la retta comprensione, più che il vuoto, la forma o altre cose del genere. La retta comprensione nasce dall’aver visto che tutto ciò che sorge passa; dall’aver visto che anche il vuoto non è il sé. Affermare di aver realizzato il vuoto come una specie di conquista, già di per sé è un’intenzione scorretta, vi pare? Credere di essere qualcuno che ha ottenuto una certa realizzazione personale deriva dal senso dell’io. Perciò non affermiamo nulla. Se c’è qualcosa in voi che desidera farlo, allora osservate questo come una condizione della mente.
Quando vi mettete nell’ordine di idee di avere tutta la pazienza del mondo per stare con le condizioni del momento, potete lasciarle cessare. Il risultato del permettere alle cose di cessare è che si comincia a sperimentare un senso di liberazione, perché ci si rende conto di non portarsi più appresso le solite cose. Quello che in passato fi ha fatto arrabbiare, ora, con vostra sorpresa, non vi infastidisce più di tanto. Cominciate a sentirvi a vostro agio in situazioni che prima vi mettevano regolarmente a disagio, perché adesso permettete alle cose di cessare, invece di tenervele strette ricreando così paure e ansie. Anche il disagio di chi vi circonda non vi influenza. Non reagite più al disagio degli altri irrigidendovi a vostra volta. È l’effetto del lasciar andare e consentire alle cose di cessare.»
[ Da: Ajahn Sumedho, “Oltre la morte: la via della consapevolezza”, The Corporate Body of th Buddha Educational Foundation, 2000 ]
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– https://it.wikipedia.org/wiki/Ajahn_Sumedho