Una teoria recente sostiene che ogni cosa nell’universo si allontana costantemente da ogni altra, così che non esiste più un punto centrale nel cosmo. Viviamo senza un punto di riferimento fisso: da una certa prospettiva questa conoscenza produce il desolato sentimento di non avere una casa nostra; ma da un’altra ci mostra direttamente che ogni luogo è casa nostra. Siamo liberi, non abbiamo bisogno di fissarci su un singolo centro per cercare rifugio e sicurezza: questo è l’amore, questa è la felicità, nella quale il nostro rifugio è senza limiti e siamo sempre a casa. Come disse il Buddha: “Dimorano nella pace coloro che non dimorano in alcun luogo”.
Quando ci identifichiamo con il corpo come un sé separato, come la nostra sola casa, pensiamo di doverlo controllare per preservare il nostro senso d’identità, ma non possiamo controllare la malattia, la vecchiaia o la morte. Se tentiamo di farlo, sosteniamo il peso inevitabile della disperazione e dell’impotenza. Quando concepiamo noi stessi come finiti e separati, come diviene spaventosa la morte! Cosa avremmo da temere, invece, se ci sentissimo parte dell’intera natura, che si muove e cambia, che nasce e muore?
In quel caso comprenderemmo che i nostri corpi sono legati al pianeta in un perpetuo e ritmico scambio, poiché la materia e l’energia fluiscono e rifluiscono tra noi e l’ambiente circostante. In ciò consiste la respirazione: a ogni respiro scambiamo l’anidride carbonica che abbiamo dentro con l’ossigeno che è fuori di noi. Di solito diamo per scontato questo processo, ma questo scambio, questa connessione che continua in ogni momento è veramente la prova che siamo vivi. Non viviamo come frammenti isolati, completamente separati, ma come parti di un grande, dinamico e mutevole tutto.
[ Da: Sharon Salzberg, L’arte rivoluzionaria della gioia ]
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