Di tanto in tanto ritorniamo alle origini del blog che non sono quelle d’informare, ma soprattutto di studio, riflessione e ricerca. La lettura del seguente frammento di spiritualità zen non potrà che giovarci.
«Nel loro primo incontro, il sesto patriarca aveva chiesto a Nangaku da dove veniva. Nangaku aveva risposto: “Dal Monte Soung”. Eno gli aveva chiesto allora: “Che cos’è che viene qui?” Non semplicemente che genere di persona sei, ma qual è la tua realtà fondamentale? Nangaku gli rispose: “Parlarne non tocca il punto essenziale della questione”. Quello che fondamentalmente siamo non può essere né afferrato né descritto, perché la nostra esistenza non può essere delimitata, chiusa in nozioni, anche se si usano nozioni quali infinito, illimitato …
In definitiva, ciò che siamo non può essere afferrato dal nostro pensiero dualista. Per questo il modo migliore per avvicinarsi ad esso è di farne l’esperienza nel silenzio di zazen, nella pratica, al di là di ogni discorso. Il sesto patriarca aveva poi ancora chiesto a Nangaku: “Questo risiede nella pratica o nella realizzazione?”
Nangaku rispose allora: “C’è la pratica e c’è la realizzazione, ma non possono e non devono essere macchiate.”
Il sesto patriarca, entusiasmato da questa risposta, aveva detto allora: “Questa incontaminatezza è stata protetta da tutti i Buddha. Voi siete così ed io anche.” L’incontaminatezza è il cuore della pratica di zazen, come anche l’ultimo insegnamento del Maestro Deshimaru prima di morire. E’ cioè la pratica che non separa; è il cuore dell’insegnamento del Maestro Dogen, il cuore stesso della pratica di zazen. Non create separazioni, non trasformate la pratica in una tecnica o in un mezzo per accedere a qualcosa di speciale, perché ciò che fondamentalmente siamo non è prodotto dalla pratica, ma esiste e vive sempre, e si manifesta quando si cessa di separarsene nel nostro spirito dualista. Bisogna lasciar cadere questo modo di funzionamento dello spirito che tende a voler strumentalizzare tutto, a manipolare. Questo però non lo si può fare utilizzando la propria volontà o la propria coscienza personale, ma non può che realizzarsi inconsciamente e naturalmente, al di là anche della nostra intenzione, nella pratica del corpo e dello spirito in unità. Quando si pratica dimenticando, abbandonando ogni oggetto, ogni tentativo di afferrare alcunché, allora la pratica diventa senza macchia, diventa realizzazione. Questo “senza macchia” è in definitiva l’insegnamento essenziale di tutti i buddha e di tutti i patriarca.»
Da: Eno (638-713) – Roland Yuno Rech – Insegnamento nel dojo di Nizza del Maestro Roland Yuno Rech – kusen di giugno 1998 – Traduzione Anna Avagnina
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