Ci fu un tempo in cui non sarei riuscita a vivere un solo minuto nel presente. Non avevo alcuna nozione della piena attenzione, né della sospensione del giudizio, né della verità dell’impermanenza. Quando mi sentivo infelice, non credevo che il disagio sarebbe mai potuto passare. Una notte, quando mi ero appena accostata alla meditazione, rimasi sveglia per ore a causa del dolore dato da una caviglia slogata male. Infine mi decisi a vedere che cosa sarebbe accaduto se avessi preso il dolore come oggetto di meditazione.
Il risultato mi sbalordì. Ricordai le parole dell’insegnante: «Renditi curiosa della tua esperienza». Non ero mai stata col dolore abbastanza a lungo da esserne curiosa, tanto meno per studiarlo.
Ogni volta che le ginocchia o la schiena dolevano durante la meditazione, fuggivo nel conteggio dei respiri o nella ripetizione del mio koan. Potevo accorgermi di quando il dolore scompariva, ma non notavo nulla della sua natura. Era un bruciore o una fitta? Era acuto o sordo? Era stabile o intermittente? I miei muscoli erano tesi o rilassati? Quali pensieri scatenava il dolore?
Sdraiata nel buio, quella notte, accolsi il dolore come una sensazione che non avevo mai incontrato prima, ed esplorai ogni fremito e ogni fitta. Dopo un po’ di tempo, il dolore si attenuò e io scivolai nel sonno.
(Saggezza buddista – Joan Oliver Duncan – perle.risveglio.net)