Parte 3
… segue da pag. 2 … Per i principianti è fondamentale rendersi conto che soltanto stare seduti su un cuscino per un quarto d’ora è una vittoria. Sedere con compostezza, stare lì e basta, è ottimo. Se non sappiamo nuotare e abbiamo paura dell’acqua, la prima vittoria sta nell’entrare in acqua. La seconda, mettere la testa sott’acqua. Se siamo abili nuotatori, la sfida potrebbe essere rappresentata da una certa angolazione della mano dando una bracciata. Non che un nuotatore sia migliore e l’altro peggiore, entrambi sono perfetti per il rispettivo livello. La pratica, qualunque sia il livello, consiste nell’essere ciò che siamo in quel preciso momento. Non si tratta di essere buoni o cattivi, migliori o peggiori.
Molti mi dicono: ” Questo non lo capisco “. Anche questo è perfetto. La capacità di comprensione si sviluppa con gli anni, ma ogni momento siamo perfetti se siamo quello che siamo. Iniziamo a imparare che nella vita c’è un’unica cosa a cui affidarsi. Quale? C’è chi pensa: “Il mio compagno, la mia compagna”. Per quanto possiamo amare nostro marito o nostra moglie, non possiamo dare loro totale fiducia, in quanto tutti, noi compresi, sono più o meno inaffidabili. Per quanto ci piaccia e l’amiamo, nessuna persona ci può dare completo affidamento. Allora, a cosa affidarsi? Se non a una persona, a cosa? Una volta mi venne risposto: “A me stesso”. Potete fare completamente affidamento su voi stessi? La fiducia in se stessi è buona, ma inevitabilmente limitata. Eppure c’è una cosa assolutamente degna di fiducia: la vita così com’è. Vediamo più in concreto. Supponiamo che abbia un forte desiderio: sposare quella certa persona, conseguire un dottorato, volere che i miei figli crescano sani e felici. La vita, però, può rivelarsi l’esatto contrario di quello che desidero. Non so se quella persona mi sposerà, anche se accetterà, potrebbe morire il giorno dopo. Forse conseguiremo il dottorato, ma non è sicuro. Non possiamo avere la certezza di nulla. La vita procede nella sua direzione. Perchè è tanto difficile? Perchè siamo sempre inquieti? Immaginate che un terremoto abbia distrutto la vostra casa, che abbiate perso tutto e che vi debbano tagliare un braccio. Potete affidarvi alla vita così com’è? Sapreste essere quello che è? Il segreto della vita sta nell’avere fiducia nelle cose così come sono. Parole, parole che non vogliamo assolutamente sentire. Posso essere assolutamente certa che l’anno prossimo la mia vita cambierà, sarà diversa, eppure sarà sempre così com’è? Se domani ho un infarto, mi affido all’infarto; per il semplice fatto che, se ce l’ho, ce l’ho. Mi consegno alla vita così com’è. Quando, come direbbe Krishnamurti, facciamo un investimento sui nostri pensieri, creiamo l’ “io” e la vita non va più bene. Etichettare i pensieri equivale a liquidare l’investimento. Una pratica sufficientemente lunga ci consente di vedere i pensieri come puri stimoli sensoriali. Ne riconosciamo anche i vari passaggi: iniziamo con l’assegnare realtà ai pensieri, li trasformiamo in stati emotivi egoistici e creiamo una barriera alla percezione della vita così com’è. Imprigionati nelle emozioni egoistiche, non vediamo le persone e le situazioni con chiarezza . Un pensiero, in se stesso, è puro stimolo sensoriale, un frammento di energia. Ma abbiamo paura di riconoscere i pensieri per quello che sono. Etichettando un pensiero facciamo un passo indietro, scolliamo l’identificazione. C’è una differenza immensa tra il dire: ” Quella persona è insopportabile “, e “Pensiero: quella è insopportabile”. Etichettando con continuità i pensieri, la sovrastruttura emotiva si sfalda e rimane un frammento di energia impersonale a cui non sentiamo il bisogno di attaccarci. Se invece assegniamo realtà ai pensieri, la vita si imbroglia. La pratica è un assiduo lavoro con questo processo, fino a comprenderlo visceralmente. La pratica non mira a una comprensione intellettuale. Deve essere un fatto di carne e ossa, di tutto me stesso. Certo, alcuni pensieri egoistici sono indispensabili: seguire una prescrizione medica, riparare il tetto, programmare le vacanze. Ma non abbiamo bisogno della coloritura emotiva che chiamiamo ‘pensiero’. Non è vero pensare, è un’aberrazione del pensiero.
Lo Zen è fatto per la vita attiva, la vita impegnata. Imparando a conoscere la nostra mente e le emozioni create dal pensiero, vediamo meglio la direzione e i bisogni della nostra vita, che di solito abbiamo sotto il naso. Lo Zen è fatto per la vita attiva, non per una vita di passiva rinuncia. L’azione deve però fondarsi sulla realtà. Azioni fondate sui falsi schemi mentali, basati a loro volta sui condizionamenti precedenti, non poggiano su una base solida. Capire a fondo gli schemi mentali ci permette di capire quel che dobbiamo fare. Non si tratta di riprogrammarci, ma di liberarci di tutti i programmi vedendone l’irrealtà. Riprogrammarci significa saltare dalla padella nella brace. Può darsi che abbiamo in mente un programma migliore, ma il punto della pratica seduta è di non lasciarci guidare da nessun programma. Immaginiamo di avere un programma chiamato ‘Mancanza di autostima’ e di volerlo sostituire con il programma ‘Autostima’. Nessuno dei due funzionerà bene sotto le pressioni della vita, perchè entrambi presuppongono un ‘io’. Questo ‘io’ è una costruzione assai fragile, di fatto irreale, e troppo facile da ingannare. In realtà, non c’è mai stato alcun ‘io’. Il punto è vederne la vuotezza, l’illusorietà; cosa ben diversa dal doverlo distruggere. Dire che l’io è ‘vuoto’ equivale ad affermare la sostanziale irrealtà: è semplicemente la costruzione dei pensieri egoistici. Praticare lo Zen non è semplice come parlarne. Anche chi ha sviluppato una certa comprensione di ciò che sta facendo, a volte tralascia la pratica fondamentale. Quando sediamo correttamente, tutto il resto si prende cura di sè. Perciò, che stiamo solo all’inizio o che sediamo da cinque o vent’anni, la cosa essenziale è sedere con grande, meticolosa attenzione.
– Charlotte Joko Beck – Macrolibrarsi
– Charlotte Joko Beck – Amazon
– https://en.wikipedia.org/wiki/Joko_Beck
– Fonte