“Sin dal principio la presenza naturale o consapevolezza è completamente fusa con la vacuità. […] Questo rigpa (Rig Pa) o consapevolezza è il nostro semplice essere, proprio ora che siamo seduti qui. C’è qualcuno qui. Prima di sapere chi siamo noi qui, questo qualcuno che è proprio qui ci dà il sapore iniziale del termine consapevolezza o rigpa. Ci potrebbe bastare solo un momento per osservare noi stessi. siamo seduti qui, in qualunque modo siamo seduti, quale che sia la postura del corpo. Non dobbiamo sedere in un modo speciale per osservare la consapevolezza. C’è qualcuno qui. Senza pensare a chi siete voi qui presenti, semplicemente cercate di sentire cos’è questa presenza che voi siete. Rimanete così per qualche minuto.
Bene. C’è qualcosa. Non avete bisogno di sapere cosa sia, ma c’è qualcosa. E c’è anche un senso di cambiamento. C’è una connessione con l’energia. Potete accorgervene mentre sta per cambiare. Forse è difficile dire con esattezza cosa sia la consapevolezza. Questa qualità, una qualità nebulosa, la difficoltà di afferrare questa presenza naturale come qualcosa di particolare, è una qualità della sua vacuità. […] Una presenza di consapevolezza tramite la quale sorgono tutti i differenti aspetti di noi stessi e del nostro mondo che costruiamo. […]
Al centro della pratica dzogchen c’è la nozione che non è necessario sforzarsi, dal momento che le cose sono già perfette.
La tendenza abituale è immaginare che il nostro compito sia di migliorare le cose, migliorare noi stessi, migliorare il mondo. […] C’è […] la propensione a ritenere che, se non fate qualcosa, non c’è miglioramento. Ma lo dzogchen inizia con questa affermazione secondo cui tutto è sin dal principio perfetto, cosicché non c’è nulla da migliorare. Se avete esperienza di una qualsiasi arte creativa, converrete che quando dipingete o scrivete una poesia o create un vaso, e volete migliorare ciò che avete fatto, allora ne viene fuori un pasticcio. Dobbiamo avere fiducia nella nostra relazione intuitiva con la cosa, che ci fa dire: «Oh, è perfetta!», e fermarci lì. Lo dzogchen riguarda lo sviluppo di un’intuitiva relazione estetica col mondo. E qui il mondo include noi stessi, il mondo in cui cerchiamo di rilassarci, di lasciare che ogni cosa diventi libera. Ma ovviamente non abbiamo bisogno di lasciare che ogni cosa diventi libera, perché è già libera; tuttavia immaginiamo che non lo sia, così cerchiamo di renderla libera. È difficile imparare ad abbandonare lo sforzo inutile, perché gran parte della nostra identità si basa sull’attività, sul fare cose. […]
La semplicità della perfezione naturale delle cose è la ragione per cui non c’è bisogno di alterarle in nessun modo. Così lo stato d’animo è più rilassato […] Il cuore della pratica dzogchen è la consapevolezza e, se siamo consapevoli in ciò che facciamo, non ha molta importanza ciò che facciamo. Perché, dal punto di vista dello dzogchen, il valore di qualsiasi cosa non sta nella qualità del suo contenuto, ma nel suo fondamento”.
(Da: Esserci. Un commento a “Lo specchio del chiaro significato” di James Low. Lo specchio del chiaro significato è un testo dzogchen di Nuden Dorje, della metà del XIX secolo. La tradizione dzogchen è una scuola del buddhismo tibetano che spesso è stata paragonata, per le sue tante affinità, con lo zen.)
– James Low – Macrolibrarsi
– James Low – Amazon
– Fonte