“Restare presenti a quel che si impone. […]
È una totale accettazione della realtà. Più nessun tipo di intenzione. […]
Non c’è niente che sia falso; quel che è sentito nell’istante è giusto; quando diventerà inutile, se ne andrà. Non c’è niente da cacciare, né di cui appropriarsi.
Questo yoga non si può imparare, si può unicamente ricevere in una tranquillità senza richiesta. Quelli che vogliono imparare, che vengono ai seminari per acquisire un po’ di più ogni volta, fra trent’anni non conosceranno ancora niente. […] Ci si incontra per vivere l’evidenza che non c’è niente da trovare. […] Se si cerca di arrivare o diventare qualcosa, c’è confusione, combattimento, speranze, e, in seguito, rimpianti e critiche. Vedere il meccanismo della nostra fantasia: si sarebbe potuto, si sarebbe dovuto riuscire, si sta per arrivare, si è quasi arrivati, la prossima volta si riuscirà… Non c’è niente in cui riuscire, nessun posto in cui arrivare. […] Quel che è stimolante è qui, nell’istante.
Questa è la risonanza. Più nessun bisogno di nominare: «È una luce meravigliosa, un conflitto drammatico, un dolore al ginocchio…». È quel che è. Non c’è più nessuna cognizione su quello che potrebbe essere. Resta una risonanza di silenzio.
Nessuna tecnica può cambiare la vita. Può solo calmare momentaneamente. In una pratica intenzionale, ben presto non succede più niente, allora si cerca uno yoga diverso che si presume cambierà qualcosa. E si passa la vita a cambiare marito, yoga ecc. […]
La nostra paura essenziale non può essere risolta con una tecnica. Chi vuol vedere la chiarezza è la paura. Volere la chiarezza non serve a niente, non si può passare da un conflitto a un non conflitto. L’origine del conflitto è nella persona, quella del non conflitto è nello sguardo. […]
Come si lascia questo corpo libero da intenzione, senza cercare di distendersi, di purificarsi, di eliminare qualcosa, […] l’energia usata fino ad allora per risolvere il conflitto, per dissolvere l’opacità, tornerà nell’ascolto. […] L’oggetto percepito […] si riassorbe nell’ascolto. E un ascolto senza oggetto diventa un ascolto senza soggetto. Un ascolto senza soggetto né oggetto è l’ascolto.
Questa è la meditazione: il riassorbimento dell’oggetto nel soggetto e la sparizione del soggetto.
Il minimo tentativo di intervenire sull’oggetto, di liberarsi psicologicamente di qualcosa, mette l’accento sull’oggetto. […] L’oggetto non potrà mai spegnersi nel cuore, nella tranquillità. Sono quel che fanno le vie volontarie: si cerca di purificare il corpo e la psiche, di far uscire da sé tutto quel che non va; si mantiene così l’abitudine di oggettivare; ci si troverà davanti un corpo e una psiche purificati ma separati, e ci sarà conflitto. […]
Quando si capisce che questa esplorazione è sempre nuova, e che il sentire si impone o muore a seconda della propria sperimentazione, poiché c’è solo cambiamento, si rivela un’intensità senza limite. […]
A un dato momento, l’intenzione si ferma, resta una risonanza del cuore, tutto si apre. Non c’è più appropriazione possibile. […] Non è più acquisizione ma scoperta. […]
Presenza, disponibilità alla chiarezza, all’oscurità. Tutto è benvenuto” (pp. 237-242).
– Da: Yoga tantrico. Asana e pranayama del Kashmir – Eric Baret
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– http://www.lameditazionecomevia.it
Asana e Pranayama del Kashmir |