La Meditazione su un Unico Punto [in futuro, MUP] era la meditazione principale del primitivo Buddismo Zen, se esaminiamo le recenti testimonianze storiche. Il “Quinto Patriarca” Hung-jen (601-674) disse che la MUP “è la realizzazione che il Dharmakaya del Buddha e la natura degli esseri senzienti sono la stessa cosa”.
La MUP, specificamente descritta, è la focalizzata negazione di ciò che è mobile (cioè, i fenomeni) in cui l’adepto affina e adatta la sua concentrazione in modo tale da esser capace di fissarla su un punto mentale immobile in mezzo al mutevole. Detta in un altro modo, la MUP apre un accesso al Dharmakaya collegandolo così con la nostra propria vera natura, nascosta nelle pieghe della nostra esistenza mondana.
Espandiamo ulteriormente la conoscenza sulla MUP. Nella nostra ordinaria vita di ogni giorno, il corpo e la nostra attenzione è sempre in un continuo ribollimento e movimento; muovendosi da una cosa all’altra; muovendosi dall’interno del nostro essere all’esterno, e tornando di nuovo indietro. Il nostro corpo, dipinto come un enorme fascio di nervi in un continuo stato di eccitazione ha perso, in gran parte, il costringente potere della Mente (da non confondere con la post-cartesiana mente psicologica).
In un certo qual modo, la parte inferiore della Mente (quella che è in contatto col mondo fenomenico) è come un cavallo selvaggio che non è stato domato. Tuttavia, nella MUP, la Mente superiore disciplina la nostra natura selvatica. Vale a dire che la Mente, almeno nella meditazione, cerca di costringere il sistema nervoso a limitare, come pure ad incanalare le sue funzioni. Se la Mente può fissarsi su un punto teorico, visualizzato internamente come un punto eccezionalmente piccolo, il risultato di questo fissarsi, visto come una lente di ingrandimento che concentra i raggi del sole su un pezzo di carta, provocherà un flusso susseguente di energia, immediatamente sentito dall’adepto. In altre parole, la MUP reincanala la naturale, indomita inclinazione del corpo di protendersi nella natura (cioè, nel samsara). Questa naturale dilatazione è chiamata dai Cinesi “chi” (o in Giapponese “ki”). Essa corrisponde alla ‘energia-appetitiva’ di Platone, ed all’ “Id ” di Freud.
In una parola, noi stiamo fondamentalmente trattando con il desiderio nudo e crudo che desidera estendersi all’esterno. Ma quando la MUP è all’opera sul nudo e crudo desiderio, accade qualcosa d’inaspettato. Quest’ultimo viene incanalato e reinstradato in quello che i Buddisti Indiani chiamano il madhya (cioè il canale centrale) che è l’asse dell’energia centrale del nostro essere ad una angolazione corretta verso il mondo fenomenico. Così, in quanto esseri, noi scopriamo pure di essere trascendenti, animati nel nostro corpo psico-fisico. Siccome è stata dipinta geometricamente, la trascendenza è perpendicolare al piano dei fenomeni. Dal punto di vista dei sensi del nostro corpo, la trascendenza è un punto teorico molto piccolo.
Applicandosi correttamente con la Meditazione su un Unico Punto (MUP), l’adepto accede ripetutamente al Dharmakaya del Buddha. Ciò ha il salutare effetto di destabilizzare l’abitudine alla tendenza, da parte degli esseri senzienti (vale a dire, dal loro spirito), di aderire ed attaccarsi ai fenomeni e, così facendo, evitare ulteriormente le ricadute nel samsara.
(Gli articoli del maestro Zenmar)
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– Da “THE ZENNIST” – Rivista interattiva, pubblicata sul WEB da ZENMAR – (darkzen.com)
– Fonte (centronirvana.it)