Lavorando nelle carceri mi accade di vedere da vicino i risultati di karma «negativi», anche se fuori da quelle mura la situazione non è molto diversa. Ogni detenuto ha un passato di vicende concatenate; d’altronde tutte le storie sono così, una porta all’altra. Molti hanno difficoltà a rendersi conto di che cosa sia accaduto, di che cosa sia andato storto. Solitamente è una lunga successione di situazioni che iniziano dal rapporto con i genitori e la vita in famiglia e proseguono con la vita di strada, povertà e violenza, fiducia mal riposta, ricerca del guadagno facile e tentativi di lenire la sofferenza e ottundere i sensi con alcol e allucinogeni che annebbiano la mente e il corpo. È l’effetto delle droghe, ma anche della vita vissuta, dell’indigenza e del blocco nello sviluppo della personalità. Questi individui mescolano pensieri e sentimenti, azioni e valori, lasciando scarsi spazi per temperare o quanto meno riconoscere impulsi o bramosie lesivi, crudeli, distruttivi e autodistruttivi.
Cosi, in un attimo al quale hanno condotto altri momenti non registrati dal subconscio, si può «perdere la testa», commettere un atto irreparabile e poi subire la miriade di conseguenze future. Tutto ha conseguenze, che lo sappiamo o meno, che si sia «beccati» dalla polizia o no. Veniamo sempre presi. Presi dal karma della propria condizione. Costruiamo la nostra prigione giorno per giorno. Da un certo punto di vista i miei amici carcerati avevano fatto le loro scelte, più o meno consapevolmente. Da un’altro, non avevano scelta; non sapevano che esistesse la possibilità di scegliere. Ancora una volta ci troviamo in presenza di «inconsapevolezza», o ignoranza, come dicono i buddhisti. È l’ignoranza di come impulsi inconsulti, soprattutto se caratterizzati da avidità e odio, per quanto giustificati, razionalizzati o legali, possono distorcere la mente o la vita di un essere umano. Tutti soffriamo di simili stati mentali, occasionalmente in forme drammatiche, ma il più delle volte attraverso percorsi più sottili. Tutti possiamo essere imprigionati da esigenze incessanti, da una mente ottenebrata da idee e opinioni a cui si aderisce come se si trattasse di verità.
Sperare di cambiare karma significa rinunciare a quanto può offuscare mente e corpo condizionando ogni nostra azione. Non vuol dire fare buone azioni, ma sapere chi si è, e soprattutto che non si è il proprio karma, quale che sia in un dato momento. Significa adeguarsi alle cose cosi come stanno, ossia vedere chiaramente. Da dove iniziare? Perché non dalla vostra mente? Dopo tutto è lo strumento tramite il quale i pensieri, i sentimenti, gli impulsi e le percezioni sono tradotti in azioni. Quando sospendere l’attività esterna per qualche tempo e praticate l’immobilità, proprio li, in quel momento, con la decisione di sedere a meditare, interrompere già il flusso del vecchio karma, creandone uno interamente nuovo e più salutare. Qui risiede la radice del cambiamento, il punto di svolta di una vita vissuta.
L’atto stesso d’interrompere, di coltivare momenti di sosta, limitandosi semplicemente a guardare, ci colloca su un piano del tutto diverso rispetto al futuro. Come? Perché solo se ci si compenetra completamente in questo momento presente, qualsiasi altro che seguirà potrà caratterizzarsi per maggior comprensione, chiarezza e gentilezza, sarà inoltre meno dominato dalla paura o dalla sofferenza e più dalla dignità e dall’accettazione. Solo ciò che avviene ora avverrà poi. Se non esistono compassione, consapevolezza ed equanimità ora, nell’unico momento in cui possiamo usufruirne e nutrirci, quante probabilità vi sono che appaiano in seguito in condizioni di stress o di difficoltà?
(Da: Jon Kabat-Zinn, Dovunque tu vada ci sei già)
– Jon Kabat-Zinn (amazon)
– Jon Kabat-Zinn (macrolibrarsi)
– https://it.wikipedia.org/wiki/Jon_Kabat-Zinn
– https://it.wikipedia.org/wiki/Mindfulness
– Fonte