“Il dualismo fondamentale che dobbiamo affrontare seduti sul nostro cuscino non è una qualche astrazione metafisica, è l’esperienza quanto mai terrestre di una persona divisa contro se stessa all’inseguimento di una fantasia di guarigione. […] Un lato di una persona fa la guerra all’altro lato […]. La nostra cosiddetta aspirazione è una maschera che l’odio che proviamo per noi stessi ostenta al mondo, è un sovrapporre una facciata spirituale al nostro conflitto interiore.
[…] Ci vuole molto tempo per abbandonare la nostra pratica segreta e per accettare che non stiamo lì seduti per scappare da qualcosa, ma che siamo lì proprio per guardare in faccia tutte le cose che vogliamo evitare.
[…] Forse il nostro ideale era che la pratica ci avrebbe resi compassionevoli, ed è perciò che cerchiamo di liberarci dell’egocentrismo se non addirittura dei desideri, ma così facendo mettiamo una parte del sé in opposizione a un’altra. Possiamo dire che vogliamo dissolvere il dualismo di soggetto e oggetto, ma è il dualismo dell’odio verso noi stessi quello che dobbiamo davvero combattere: una parte di noi che giudica costantemente un’altra parte, una parte che vuole e cerca all’infinito di distruggere un’altra parte […]! Il vero succo della pratica comporta imparare a riconoscere tutte queste forme sottili di odio verso se stessi.
[…] «Come sto andando?», o: «Perché la mia mente non diventa calma e silenziosa? Perché continuo a sentire rabbia o ansia?». Osserviamo tutte queste preoccupazioni che si susseguono attraverso la mente, in continuazione. Sempre la stessa manciata di pensieri; una volta riconosciuta la loro natura ripetitiva possono diventare molto noiosi. In realtà annoiarsi è una grossa parte della pratica; dobbiamo sentir noia delle nostre preoccupazioni. Dobbiamo esserne stufi, e quando questo avviene possiamo semplicemente cominciare a lasciarle stare. È questo che succede a tutti quei pensieri giudicanti: non li cacciamo via una volta per tutte, semplicemente non ci proponiamo di sbarazzarci del nostro lato giudicante. […]
Non dobbiamo neppure scacciar via le nostre preoccupazioni; diventano soltanto una delle tante cose che accadono […]. Sono soltanto cose che se ne stanno lì agli angoli della mente, non occupano più il centro del nostro universo.
[…] Scopriamo il fondamentale paradosso della pratica: lasciare stare tutto così com’è è di per sé la cosa più trasformativa. […] La pratica in realtà mette fine all’automiglioramento. Ma è molto difficile convivere con quel senso di non aver bisogno di fare nulla, […] è difficile non fare proprio niente. Di continuo sorvegliamo la mente, cercando di evitare o di aggiustare, di aggiustare o di evitare. […] La cosa più difficile da fare è lasciare che la mente sia così com’è.
[…] La nostra pratica fluisce naturalmente attraverso alcuni stadi differenti. Nel primo stadio ci interessiamo primariamente della nostra esperienza privata della meditazione seduta. Possiamo concentrarci sulle difficoltà fisiche, […] o sulle difficoltà psicologiche […]. Oppure, via via che ci stabilizziamo nella pratica, lo zazen può diventare fonte di vari tipi di piacere. Possiamo usarlo per calmare o rilassare la mente […]. Forse possiamo anche sperimentare momenti di intensa gioia. Naturalmente non c’è nulla di sbagliato in nessuno di questi sentimenti. […] A questo stadio possiamo sentire che la nostra pratica segreta sta veramente funzionando, e che stiamo cominciando a ottenere dalla pratica tutte le cose che ci hanno spinto a intraprenderla.
[…] Anche chi ha meditato per anni e anni può fissarsi nella preoccupazione per i propri successi meditativi, o continuare in segreto a usare la pratica al servizio della coltivazione di questo o quello stato interiore. Anche così non c’è niente di male. solo che non è tutto qui.
Usciamo da questa fase quando […] cominciamo a lasciare che la pratica vada contro la tendenza della nostra pratica segreta, invece di cercare sempre di colludere con essa. Impariamo a concentrarci non tanto sul modo in cui la vita ci tratta, ma sul modo in cui noi rispondiamo alla vita. […] Cominciamo a sentire cosa significa essere aperti al mondo invece di cercare sempre di imporre al mondo i nostri desideri“.
Barry Magid, allievo di Joko Beck, è psicanalista e fondatore dello zendo The Ordinary Mind (New York).
(Da: Guida zen per non cercare la felicità – Barry Magid)
– Barry Magid – Macrolibrarsi
– Barry Magid – Amazon
– https://en.wikipedia.org/wiki/Barry_Magid
– Fonte lameditazionecomevia.it