Avete notato che non si riesce mai a sfuggire a nulla? E che presto o tardi le cose che volevate evitare, coprire o fingere di ignorare si ripresentano, particolarmente se correlate a vecchi schemi o timori? Il concetto romantico è che se qui non funziona basta solo andare altrove e tutto sarà diverso. Se il lavoro non rende, si cambia lavoro, se non si va d’accordo con la moglie se ne trova un’altra, se la città è invivibile ci si trasferisce altrove, se i figli creano problemi si cerca qualcuno che se ne prenda cura. Il pensiero latente è che i motivi dei vostri guai non risiedono in voi, bensì nella situazione, in altri, nelle circostanze. Cambiate casa, cambiate luogo e tutto andrà a posto; potrete iniziare daccapo, ripartire da zero.
Il lato negativo di questo modo di pensare è ignorare convenientemente di avere una testa e un cuore oltre a quel « karma », come lo definirebbe qualcuno, emanante da voi. Per quanto tentiate, non potete sfuggire voi stessi. D’altronde, quale motivo avreste, se non un’illusione, per ritenere che altrove le cose sarebbero diverse o migliori? Presto o tardi gli stessi problemi si ripresenterebbero, se in effetti sono una conseguenza dei vostri schemi di valutazione, pensiero e comportamento. Troppo spesso la nostra vita cessa di funzionare perché rinunciamo a occuparcene, e non siamo disposti ad assumerci responsabilità per lo stato di fatto e ad affrontare le difficoltà. Non comprendiamo che è davvero possibile ottenere chiarezza, cognizione e trasformazione nel bel mezzo di ciò che è ora e qui, per quanto problematico sia. Ma è più facile e meno preoccupante per il nostro amor proprio proiettare i nostri problemi su altri o sul contesto.
È assai più comodo trovare pecche, biasimare, credere che occorra un cambiamento esterno, una fuga dalle forze che ci trattengono impedendoci di crescere e di trovare la felicità. Potete persino rimproverare voi stessi per tutto e, quale ultima evasione dalle responsabilità, prendere la fuga convinti di aver commesso errori irreparabili o di esservi compromessi senza rimedio. In entrambi i casi vi convincete non saper portare a termine un autentico cambiamento o la vostra crescita personale e che per risparmiare ulteriori sofferenze agli altri dovete togliervi di mezzo.
I danni di questo modo di considerare le situazioni sono visibili ovunque. Guardate praticamente dove volete e troverete rapporti interrotti, famiglie smembrate, individui distrutti, raminghi, sradicati, persi, che cambiano continuamente sede, lavoro, amicizie, idee di riscatto, sperando che tutte le forze che la persona, il libro, il lavoro, il posto giusto contribuiranno a migliorare le Cose. Oppure si sentono isolati, privi di attrattive e disperati, avendo rinunciato a cercare o persino a intraprendere qualche tentativo, per quanto maldestro, di trovare la pace dello spirito.
La meditazione non rende di per sé immuni da questo schema della ricerca all’esterno di risposte e soluzioni ai problemi personali. Talvolta si passa cronicamente da una tecnica all’altra, da un maestro all’altro, da una tradizione all’altra alla ricerca di qualcosa, di un insegnamento, di un rapporto speciali, di quella momentanea « ispirazione» che aprirà la porta all’autocompassione e alla liberazione. Ma questo può trasformarsi in una grave delusione, in una ricerca senza fine di una via dí fuga da ciò che è più vicino e forse più doloroso. Per paura e per il desiderio che qualcuno veramente speciale le aiuti a vedere chiaramente, a volte le persone si lasciano invischiare in rapporti malati di totale dipendenza da maestri di meditazione dimenticando che, per quanto valida possa essere la loro guida, alla fine il lavoro interiore va eseguito personalmente ed essere sempre coerente col tessuto della propria vita.
Alcune persone arrivano persino a strumentalizzare i ritiri meditativi guidati da un maestro per mantenersi a galla nella vita anziché come ampia occasione d’introspezione profonda. In un certo senso, nei ritiri tutto é facile. Ci si occupa delle necessità di vita essenziali, il mondo ha un senso. Tutto ciò che si deve fare è sedere o camminare, essere consapevoli, immergersi nel presente e in se stessi mentre altri provvedono per noi alle necessità quotidiane, ascoltare la grande saggezza di persone che hanno lavorato in profondità su se stesse raggiungendo considerevole comprensione e armonia nelle loro vite; oppure ci si sente trasformati, ispirati a propria volta a vivere più pienamente nel mondo con una migliore prospettiva dei propri problemi.
In gran parte tutto questo è vero. Buoni maestri e lunghi periodi di meditazione isolata in ritiro possono essere profondamente validi e salutari, a condizione di essere disposti a considerare qualsiasi cosa emerga durante il ritiro. Ma esiste anche il pericolo, da cui guardarsi, che i ritiri si trasformino in un allontanamento dalla vita comune e consueta e che in definitiva la « trasformazione » personale rimanga a livello epidermico. Forse potrà durare pochi giorni, settimane o mesi dopo il termine del ritiro, poi si ritorna al vecchio schema di mancanza di chiarezza nei rapporti, all’attesa di un successivo ritiro e di un nuovo grande maestro, di un pellegrinaggio in Asia o di una qualsiasi fantasia romantica in cui tutto sarà ancora più profondo e chiaro a vantaggio della nostra personalità.
Questo modo di pensare e di vedere è fin troppo diffuso: a lungo andare non si può riuscire a sfuggire a se stessi, ma solo trasformarsi. Non ha importanza se si usano le droghe o la meditazione, l’alcol o il Club Méditerranée, il divorzio o lasciare l’impiego. Non può esistere decisione che porti alla crescita fino a quando la situazione in atto non sarà affrontata completamente, aprendosi con consapevolezza, tanto da consentire alla difficoltà della stessa situazione di appianare le vostre personali difficoltà. In altri termini si deve essere disposti a lasciare che sia la vita a divenire maestra.
Secondo questa modalità di lavoro, dovete affrontare il « qui e ora ». Quindi questa è la realtà… questo luogo, questo rapporto, questo dilemma, questo lavoro. La sfida della consapevolezza è lavorare precisamente con le circostanze in cui vi trovate — per quanto spiacevoli, scoraggianti, restrittive, interminabili e senza uscita possano sembrare — e assicurarvi di aver fatto tutto ciò che era in vostro potere per utilizzare energie e trasformarvi, prima di decidere di limitare le perdite e passare ad altro. È proprio qui che deve svolgersi il vero lavoro.
Così, se pensate che la vostra pratica meditativa sia noiosa o improduttiva, che non vi trovate nelle condizioni ottimali, e che se solo foste in una grotta nell’Himalaya o in un monastero asiatico, oppure su una spiaggia ai tropici o in ritiro in un ambiente naturale le cose migliorerebbero e la meditazione sarebbe più efficace… ripensateci. Arrivati nella vostra grotta, in quella spiaggia o ritiro, vi troverete con la stessa mente, lo stesso corpo, la medesima respirazione che avete qui. Dopo aver trascorso una quindicina di minuti nella grotta potreste sentirvi soli, desiderare più luce o il soffitto potrebbe gocciolare. Sulla spiaggia forse farebbe troppo caldo, nel ritiro potrebbero non piacervi i maestri, il cibo o la vostra stanza, C’è sempre qualcosa che non va. Allora, perché non lasciar perdere e ammettere che tanto varrebbe essere a casa, dovunque voi siate? Proprio in quel momento arrivereste all’essenza del vostro essere, lasciando libero ingresso alla consapevolezza che vi guarirà. Se comprenderete questo, allora e solo allora la grotta, il monastero, la spiaggia e il ritiro vi offriranno autentica ricchezza. Ma altrettanto faranno tutti gli altri momenti e luoghi.
(Da: Jon Kabat-Zinn – Dovunque tu vada, ci sei già. Una guida alla meditazione)
– Jon Kabat-Zinn (amazon)
– Jon Kabat-Zinn (macrolibrarsi)
– https://it.wikipedia.org/wiki/Jon_Kabat-Zinn
– https://it.wikipedia.org/wiki/Mindfulness
– Fonte