Dhyana significa “meditazione” in sanscrito; in cinese “chan”, in coreano “sòn” e in giapponese “zen”.
Meditazione dhyana significa osservare la realtà così com’è, ossia “ciò che è qui ed ora”, quiddità, con mente aperta, senza pregiudizi, senza condizionamenti, né fantasie. È realizzare in ogni momento che tutti i fenomeni sono interdipendenti, impermanenti ed essenzialmente vuoti.
La profonda contemplazione include sia calma che chiara consapevolezza, sia silenzio che l’interrogarsi: tutta la vita è un grande Kongan, enigma senza conclusioni.
La trinità della solida postura, respirazione tranquilla e mente chiara ci aiuta a svuotare la mente che diventa un vasto spazio aperto.
La seduta meditativa consiste nel sedere in silenzio con la spina dorsale dritta e le spalle rilassate, esercitando una profonda respirazione addominale. Le mani possono stare in grembo (la sinistra giace nella mano destra) oppure sulle ginocchia. Gli occhi sono semiaperti, lo sguardo naturale verso il suolo. All’inizio, quando la mente è irrequieta, osserviamo il respiro seguendo attentamente il processo di inspirazione ed espirazione che resta naturale e privo di forzature.
Segue una più breve meditazione camminata che può essere lenta o veloce, consapevoli dei passi che si succedono e del proprio corpo. Successivamente si riprende con la meditazione seduta: con la mente più tranquilla possiamo lasciare espandere ed approfondire l’attenzione, consapevoli della mente. Lasciamo andare i pensieri che arrivano senza attaccarci ad essi. Lasciamo andare ogni sforzo e lasciamo la mente nello stato di “puro essere”: priva di ostacoli, paura, illusioni, diventa inseparabile da serenità e chiarezza: la cessazione del pressante dialogo interiore e la mente che riflette le cose come uno specchio chiaro che illumina le oscurità mentali.
In questa vita possiamo scoprire la nostra vera natura, chiamata con molti nomi diversi ma che essenzialmente è svelare e capire che cosa siamo nel momento presente.
Tae Hye sunim
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– Fonte