A proposito della pratica di ānāpāna sati:
Lo scopo della meditazione
L’obiettivo, in questa meditazione, è la bellezza del silenzio, della calma e della chiarezza spirituale.
La meditazione è il mezzo per giungere ad abbandonare ogni presa. Nella meditazione, si abbandona la stretta del mondo esterno, complesso, per raggiungere quello interiore, sereno. In ogni tipo di misticismo, come pure in numerose tradizioni, ciò è conosciuto come la via verso lo spirito puro e potente. L’esperienza di questo spirito puro e liberato dal mondo è meravigliosa e felice.
Durante questa esperienza vi sarà del lavoro difficile da fare, all’inizio; ma, accettate le difficoltà del lavoro, ricordandovi che vi permetteranno di vivere degli stati molto belli e significativi. Ne varrà bene la pena! E’ una legge di natura, che senza uno sforzo non si progredisce. Che noi si sia dei laici, o dei monaci non si giunge da nessuna parte senza sforzo, sia che si tratti di meditazione, che non importa di cosa altro.
Ma, il solo sforzo non basta. Bisogna applicarlo con astuzia. Questo significa che dovrete dirigere la vostra energia giusta sino ai punti giusti e mantenervela fintanto che il compito non sarà effettuato. Uno sforzo esercitato con astuzia non è noioso e nè disturba, mentre produce quella bella pace di meditazione profonda.
Per sapere dove focalizzare lo sforzo, dovrete comprendere chiaramente lo scopo della meditazione.
Lo scopo della meditazione è la bellezza del silenzio, della calma e della chiarezza spirituale.
Se giungerete a comprendere questo obiettivo, allora il punto di applicazione del vostro sforzo e la maniera di raggiungere il traguardo vi diverranno molto chiari.
L’impegno andrà diretto per all’abbandono di ogni presa, verso lo sviluppo di uno spirito che tende al distacco. Una delle numerose e semplici dichiarazioni di Buddha è che “una persona che medita, la cui mente è portata all’abbandono, raggiuge samādhi facilmemte” (precisamente lo scopo della meditazione). Una simile persona ottiene questi stati di beatitudine quasi automaticamente. Ciò che Buddha affermava era che la principale causa della meditazione profonda, per raggiungere questi potenti stati interiori, risiedeva nella volontà di abbandono, di lasciare la presa e di rinunciare. Durante questo ritiro meditativo, non è lo spirito che si intensifica e si avvicina alle cose che vogliamo accrescere, quanto la mente che acconsente a lasciare andare, a posare il fardello. Al di fuori della meditazione siamo costretti a portare il fardello di numerosi doveri, come altrettante valigie pesanti; ma, durante il periodo meditativo, tutti questi bagagli non sono necessari. Durante la meditazione, quindi, rendetevi conto se potete abbandonare quanti più bagagli è possibile. Considerate queste cose come dei fardelli, dei pesanti fardelli che vi gravano addosso. Sarà, allora, l’atteggiamento corretto per abbandonare tali cose, e farlo liberamente, senza girarvi indietro. Questo sforzo, questa attitudine, questa tendenza dello spirito all’abbandono, sarà ciò che vi condurrà alla meditazione profonda. Dagli inizi del ritiro, sforzatevi di generare codesta energia di rinuncia, la volontà di dare e, poco a poco, l’abbandono della stretta avverrà. Mano a mano che lascerete le cose nel vostro spirito, vi sentirete molto più leggero, sciolto dalla zavorra e libero. Lungo il sentiero della meditazione questo abbandono delle cose procede per tappe, passo a passo.
Potete superare le tappe iniziali rapidamente, se lo desiderate; ma, nel caso, fate attenzione. A volte, nel farlo troppo in fretta, ci si accorge che il lavoro di preparazione non è stato compiuto. E’ come cercare di costruire una città su delle fondamenta deboli e poste alla carlona. La struttura si erge molto presto, ma cade altrettanto in breve! Sarete, di conseguenza, saggi nel passare sufficiente tempo sulle fondazioni, e al piano terra; in tal modo, compirete un buon lavoro di base, solido e fermo. Così, quando vi trasferirete ai piani supoeriori, gli stati meditativi di felicità saranno anch’essi solidi e fermi.
Con il metodo che io impiego nell’insegnare la meditazione, amo molto cominciare dalla semplice tappa di abbandonare i pesi del passato e del futuro.. Voi potreste supporre che si tratti di qualcosa di molto facile da fare, che è troppo fondamentale. Tuttavia, se agite con calma, se non vi precipitate alle tappe successive della meditazione senza avere correttamente raggiunto il primo scopo, che è l’attenzione mantenuta sul momento presente, più tardi scoprirerete di avere stabilito delle fondamenta molto solide sulle quali stabilire le tappe seguenti.
Abbandonare il passato significa non pensare neppure al vostro lavoro, alla vostra famiglia, ai vostri impegni, alle vostre responsabilità, alla vostra storia, ai buoni e cattivi periodi della vostra infanzia… Voi abbandonate ogni esperienza passata, non accordandole assolutamente alcun interesse. Diventate qualcuno che non ha alcuna storia, durante il periodo consacrato alla meditazione. E neppure pensate al luogo da dove venite, dove siete nato; nè, chi erano i vostri genitori, oppure alla vostra formazione educativa. Durante la meditazione si rinuncia a tutto questo. In tal modo, tutti coloro che si trovano qui, in ritiro, stanno sulla medesima linea di eguaglianza; sono semplicemente qualcuno che medita. Perde la sua importanza il sapere da quanti anni voi meditate, se avete dell’esperienza, o state iniziando. Se riuscite ad abbandonare tutto questo, saremo eguali e liberi. Ci alleggeriamo di quelle preoccupazioni,di quelle percezioni e di quei pensieri che ci limitano e che ci impediscono di fare crescere la pace nata dall’abbandonare la presa. Dunque, ed in fin dei conti, voi vi staccate da qualunque “parte” della vostra storia, anche della storia che avete vissuto sino ad oggi, durante questo ritiro; anche del ricordo di ciò che vi è successo qualche istante fa! In tal modo, voi non trasportate nessun fardello del passato nel presente. Qualunque cosa possa capitare, voi non ve ne interessate più e lasciate andare. Non permettete al vostro passato di riverberare nel vostro spirito.
Questo, io lo chiamo trasformare la mente in cellula insonorizzata. Qualunque sia l’esperienza, la percezione, o il pensiero che entra in contatto con la parete della “cellula insonorizzata”, quest’ultima non ne viene toccata. Essa è semplicemente assorbita dalla pienezza e si ferma lì. Così, non permettiamo al passato di fare da eco nella nostra coscienza; ed in ogni caso, non a ciò che è successo ieri e prima ancora, perchè cerchiamo di maturare uno spirito incline al lasciare andare, all’abbandono ed all’alleggerimento. C’è chi dice che se si mette a contemplare il passato, può, in certa misura, apprenderne qualcosa e risolverne i problemi. Dovete, tuttavia, comprendere che, quando osservate il passato, voi lo fate immancabilmente attraverso dei vetri deformanti. Qualunque sia il ricordo che ne avete, esso non corrisponde veramente alla realtà. Ecco perchè le persone litigano su quello che è successo, anche qualche minuto prima. E’ cosa ben risaputa dalla polizia, che fa un’inchiesta su di un incidente stradale che, anche se esso è accaduto da appena mezz’ora, due testimoni oculari diversi, ambedue onesti, riporteranno dei fatti dissimili. Non c’è da fidarsi della nostra memoria. Se considererete per un pò la mancanza di stabilità della memoria, non accorderete alcun valore a rimuginare il passato. Potete, allora, lasciare la presa. Potete seppellirlo, proprio come fate con qualcuno che è morto. Lo mettete in un feretro, sotto terra; oppure lo cremate, e tutto è finito, terminato. Non trascinatevi dietro il passato; non siate affezionati alle bare degli attimi trascorsi. Se lo farete, vi sovraccaricherete di pesanti fardelli, che non vi appartengono veramente. Lasciate andare ogni cosa che è avvenuta ed avrete la possibilità di essere liberi nel momento presente.
Per quel che riguarda il futuro, le anticipazioni, le paure, i progetti e le attese – lasciate andare anche tutto questo. Il Buddha disse una volta, a proposito del futuro:”qualunque cosa voi immaginiate, essa sarà sempre diversa!”. Dai saggi questo futuro è conosciuto come incerto, ignoto ed imprevedibile. Spesso è una cosa completamente stupida anticipare il futuro, ed è sempre una grande perdita di tempo pensare al futuro in meditazione.
Quando lavorate con lo spirito, vi accorgete che esso è così strano. Può fare delle cose meravigliose ed inattese. E’ cosa molto comune che delle persone che vivono dei tempi difficili in meditazione, che non conoscono molta calma, se ne stiano seduti a pensare: “Ecco, ancora un’ora di frustrazione”. Benchè comincino a pensare così, ad anticipare lo smacco, accade qualcosa di strano ed essi entrano in una meditazione molto calma.
Recentemente, ho sentito parlare di un signore che faceva il suo primo ritiro di dieci giorni. Dopo il primo giorno, aveva cosi male in tutto il corpo, che chiese di ritornare a casa sua. Il maestro disse: “restate un giorno in più ed il dolore passerà. Ve lo prometto.” Egli dunque rimase ancora un giorno; ma il dolore peggiorò e lui nuovamente volle rientrare. Il maestro gli ripetè:”un solo giorno in più ed il dolore sparirà”. Quelo rimase un terzo giorno e la sofferenza era ancora lì. In ognuno dei nove giorni, venuta la sera, egli andava a trovare il maestro, tutto indolenzito, per chiedergli di potere rientrare a casa ed il maestro rispondeva”giusto un giorno in più e il dolore passerà”. Accadde, allora, in un modo completamente inatteso che l’ultimo giorno, alla prima seduta del mattino, il dolore sparì! E non ritornò più. Egli poteva trascorrere delle lunghe sedute, senza provare alcuna sofferenza! Era stupefatto: quel che è meraviglioso in questo nostro spirito è come possa produrre dei risultatio così inattesi! Dunque, voi non conoscete il futuro. Forse è così strano, anche bizzarro, completamente al di là di ogni attesa. Delle esperienze come questa vi donano la saggezza ed il coraggio di abbandonare ogni pensiero che concerne il futuro, ed anche ogni tipo di attesa.
Quando meditate e pensate:” quanti minuti restano? Quanto tempo deve durare tutto questo?”, vi state ancora una volta perdendo nel futuro. Il dolore potrebbe scomparire in un momento. Il prossimo istante potrebbe essere quello della libertà. E’ che semplicemente non potete anticipare quel che dovrà avvenire.
In ritiro, quando meditate già da numerose sedute, potreste pensare, a volte, che nessuna di queste è servita ad alcunchè. In quella successiva vi sedete ed ogni cosa diviene pacifica e facile. Ed allora pensate:”Ouaah! Finalmente riesco a meditare”; ed ecco che la meditazione successiva è nuovamente orribile. Cosa è successo, dunque?
Il mio primo maestro di meditazione mi ha detto qualche cosa che, all’epoca, mi è sembrata assai bizzarra. Ha detto che una cattiva meditazione non esiste! Ed aveva ragione. Tutte quelle meditazioni che chiamate mal riuscite, frustranti e che non sono all’altezza delle vostre attese, tutte queste meditazioni sono dei momenti in cui lavorate duro per “la vostra busta paga”…
E come per una persona che va a lavorare per l’intero giorno del lunedì e, alla fine delle otto ore non riceve un soldo. “Perchè lo faccio?”, si chiede. Lavora per tutto il giorno del martedì, e sempre nulla. Ancora una cattiva giornata. Tutto il giorno di mercoledì, tutto quello di giovedì, e nulla, dopo tanto duro impegno. Ecco quattro cattivi giorni,messi di fila. Fino a che giunge il venerdì, in cui esegue esattamente lo stesso lavoro di prima ed alla fine il padrone gli dà un assegno per la paga. “Ouaah! Perchè ogni giorno non è quello della paga?”
Perchè ogni meditazione non è quella “del giorno della ricompensa?” Capite, adesso, il paragone? E’ durante le meditazioni difficili che voi accumulate dei crediti, che producete la causa del successo. Lavorando per la calma,durante le meditazioni difficili, aumentate la vostra potenza, l’inerzia verso la distensione. Alla fine, quando vi sono sufficienti crediti di buone qualità, lo spirito entra negli stati di felicità.
Durante un ritiro che ho diretto, recentemente, a Sidney, nel periodo delle interviste, una signora mi ha detto di essere rimasta in collera con me per tutto il giorno, ma a causa di due ragioni diverse. Durante le sue prime meditazioni lei trascorreva dei momenti difficili ed era in collera con me perchè io non suonavo la campanella sufficientemente presto per terminare la meditazione. Durante le meditazioni successive, lei è riuscita ad entrare in un bello stato di pace e provava collera verso di me per avere suonato la campanella troppo presto. Le sessioni erano tutte della stessa durata: esattamente un’ora. Semplicemente,non c’è modo di guadagnare come maestro, suonando la campanella!
Ecco cosa succede quando anticipate il futuro e pensate “quanti minuti ancora mancano al suono della campanella?” E’ qui che vi torturate e prendete sulle vostre spalle un fardello che non vi riguarda. Di conseguenza, fate bene attenzione di non sollevare la grossa valigia di “quanti minuti restano”, oppure, di “cosa debbo fare subito dopo?”. Se è lì che spostate i vostri pensieri, allora non siete in grado di prestare attenzione a quel che succede adesso. Non state facendo meditazione. Avete perso il filo e cercate delle noie.
A questa tappa dela meditazione, trattenete l’attenzione sul momento presente, al punto da non sapere neppure che giorno è, oppure che ore sono. E’ mattino? E’ pomeriggio? Non lo so! Tutto ciò che conoscete è che in quel momento siete proprio lì, adesso. In tal modo voi giungete a questa bella scala di tempo monastico, in cui vi trovate semplicemente a meditare nel momento presente, senza consapevolezza dei minuti che sono passati, o di quelli che ancora restano a venire, e senza neppure ricordarvi che giorno è.
Una volta, come giovane monaco in Tailandia, avevo persino dimenticato che anno era. E’ una cosa meravigliosa dimorare in questo regno fuori del tempo; un regno talmente più libero del mondo puntato sull’orologio, nel quale esistiamo d’abitudine. In questo regno atemporale, voi vivete il momento presente, come tutti gli esseri saggi, che lo vivono da migliaia di anni. Tutto è stato semplicemente così, non altrimenti. Siete entrati nella realtà dell’adesso.
La realtà dell’adesso è magnifica e sbalorditiva. Quando riuscite ad abbandonare tutto il passato e tutto il futuro, è come se foste, infine, vivo. Voi siete qui; voi siete presenti in spirito. Si tratta della prima tappa della meditazione, null’altro che questa presenza di spirito, trattenuta unicamente nel presente. Giunti sino a qui, avete già fatto molto. Avete abbandonato la presa dal primo fardello che impedisce la meditazione profonda. Investite, di conseguenza, molti sforzi per raggiungere questa prima tappa, sino a che essa sia ben stabile, solida e ferma. In seguito, noi raffineremo la coscienza del momento presente, sino alla prossima tappa: una coscienza silenziosa del momento presente.
Il silenzio: sorgente di saggezza e di chiarezza
Nella prima parte di questo articolo tripartito ho descritto lo scopo di questa meditazione, ossia la bellezza del silenzio, della calma e della chiarezza spirituale. Questi stati conducono a delle rivelazioni profonde. Ho, quindi, mostrato il tema soggiacente, contenuto in ogni meditazione, come un filo conduttore, che è abbandonare la stretta dai fardelli materiali e mentali. Per finire, in questa prima parte, ho descritto a lungo la pratica che conduce a ciò che chiamo la prima tappa di questa meditazione. Questa prima tappa è raggiunta quando la persona che medita vive in modo confortevole nel momento presente, per delle lunghe durate, senza interruzione. Come ho scritto prima, “la realtà dell’adesso è magnifica e sbalorditiva”… Giunti a questo punto, avete già fatto molto. Avete lasciato la presa dal primo fardello che impedisce la meditazione profonda.” Tuttavia, dopo avere compiuto tutto questo lavoro, bisogna spingersi più avanti; impegnarsi nel silenzio dello spirito, ancora più bello e più vero.
Può qui essere utile rilevare la differenza che esiste tra conscienza silenziosa del momento presente ed il fatto di pensarci. Può essere istruttivo utilizzare il paragone con un match di tennis che si guarda alla televisione. Osservando una simile gara, potete notare che, di fatto, ve ne sono due, che si giocano simultaneamente: vi è quella che voi guardate sullo schermo, e quella che ascoltate, descritta dal commentatore. In effetti, se un australiano gioca con un italiano, il commento del presentatore australiano ha delle grosse possibilità di essere molto diverso da quel che accade realmente! Un commentario è spesso falsato. In questo paragone, guardare lo schermo senza commenti simbolizza la coscienza silenziosa nella meditazione;prestare attenzione ai commenti, indica pensarvi. E’ necessario che vi rendiate conto che siete ben più vicini alla verità quando osservate senza spiegazioni, quando vivete semplicemente la coscienza silenziosa del momento presente.
A volte, noi crediamo di conoscere il mondo attraverso il commento interiore. Di fatto, questo commento interiore non conosce proprio nulla! E’ lui che tesse le illusioni, causa della sofferenza. E’ lui che provoca la collera verso coloro che facciamo diventare nostri nemici e l’attaccamento verso coloro che vediamo come esseri cari. Il discorso interiore provoca ogni problema della vita. Fabbrica la paura e la colpevolezza. Crea l’angoscia e la depressione. Costruisce queste illusioni in maniera così sicura quanto un abile commentatore può manipolare una audience per creare la collera, o le lagrime. Di conseguenza, se cercate la verità, dovete provare stima per la coscienza silenziosa; considerarla più importante, quando meditate, non importa quale pensiero vi sia.
E’ il grande valore che si accorda ai nostri propri pensieri, che rappresenta l’ostacolo maggiore all’esperienza della coscienza silenziosa. Togliere accuratamente l’importanza che accordiamo ai nostri pensieri, poi realizzare il valore è la veracità della coscienza silenziosa. Ecco la rivelazione che rende possibile questa seconda tappa: la coscienza muta del momento presente.
Una bella maniera di superare il commento interiore è di sviluppare una coscienza del momento presente così raffinata, tanto da osservare ogni attimo da così vicino, da non avere semplicemente il tempo di fare dei commentari su quanto sta accadendo. Un pensiero, spesso è un’opinione su ciò che sta succedendo; per esempio “, questo, era bene”, “questo era un pò troppo”, cosa era, questo?”. Tutti commenti che si fanno su di un’esperienza che sta avvenendo. Quanto fate un’annotazione, oppure una chiosa su di un’esperienza che sta avvenendo non siete allora più in grado di prestare attenzione alla consapevolezza che giunge. Vi occupate di vecchie visite e negligete quelle nuove, che giungono proprio in tale attimo!
Immaginate il vostro spirito come l’ospite di un invito, il quale accolga gli invitati, mentre passano dalla porta d’entrata. Se, quando giunge un invitato, voi lo accogliete e vi ci mettete a chiaccherare, non siete più in grado di fare il vostro dovere, che è quello di accordare la vostra attenzione al nuovo visitatore che arriva. In ogni momento c’è qualcuno che attraversa l’uscio di entrata. Di conseguenza, tutto ciò che potete fare è di accoglierne uno; poi, subito, di andare a riceverne il seguente. Non potete permettervi di intraprendere la minima conversazione con questi invitati, poiché ciò significa mancare il successivo, che si presenta. Nel corso della nostra conversazione, tutte le esperienze attraversano la porta principale, da dove passano, per giungere allo spirito, uno dopo l’altra, successivamente. Se voi accogliete un’esperienza con presenza mentale e vi impegnate in una conversazione con il vostro invitato, mancherete la prossima conoscenza, che segue giusto poco dopo.
Quando, invece, vi trovate perfettamente inseriti nel momento presente ad ogni incontro con qualuque invitato che giunge nella vostra mente, non avete, allora, semplicemente posto per questo discorso interiore. Non potete mettervi a chiccherare assieme a lui, perchè siete completamente occupato ad accogliere con attenzione, tutto quanto si presenta al vostro spirito. Ecco, allora, una coscienza del momento presente, raffinata al punto di divenire una coscienza silenziosa del presente, ad ogni istante.
Scoprirete, sviluppando questo grado di silenzio interiore, che è come scaricarsi di un altro grosso peso. Sarà come se voi aveste portato un grosso sacco sulle vostre spalle durante quaranta, o cinquanta anni e, per tutto questo tempo, aveste penosamente percorso numerosi, numerosi kilometri. Ora, avete avuto il coraggio e la saggezza di togliervi questo fardello dal dorso e di posarlo al suolo, per un momento. Ci si sente immensamente sollevati, così liberi che, adesso, non si è più gravati da quel grosso sacco, rappresentato dal discorso interiore.
Un altro utile modo di incrementare questo silenzio interiore è di riconoscere lo spazio tra i pensieri, fra i periodi del discorso interiore. Se voi osservate da vicino, con presenza mentale acuta, quando un pensiero finisce e prima che un altro inizi! Si tratta della coscienza silenziosa! Può essere che sia un fatto momentaneeo, al momento; ma, a misura che voi riconoscete qeusto silenzio fugace, vi ci abituerete, e man mano che vi ci assueferete, il silenzio durerà più tempo. Voi comincerete ad apprezzare questo silenzio, una volta che l’avrete finalmente trovato, ed è per questa ragione che aumenterà. Ma, ricordatevelo: il silenzio è timido. Se il silenzio sente che parlate di lui, svanirà subito!
Sarebbe una cosa meravigliosa se ognuno di noi potesse abbandonare il discorso interiore e restare nella coscienza silenziosa del momento, presente sufficientemente a lungo per rendersi conto di come sia delizioso. Il silenzio produce talmente più saggezza e chiarezza del pensiero. Quando vi accorgerete quanto sia apprezzabile e valido restare sileziosi interiormente, allora il silenzio vi attirerà maggiormente e diverrà più importante per voi. Il silenzio interiore diviene ciò verso cui tende lo spirito. Lo spirito ricerca costantemente questo silenzio, al punto da pensare solo se lo deve veramente fare, solo se ne esiste una ragione.E poichè a questo livello vi sarete resi conto che la maggior parte dei vostri pensieri sono, in ogni caso, senza scopo, che non portano da nessuna parte, non fanno che darvi dei mal di testa, passerete con gioia e facilmente più tempo nel silenzio interiore.
La seconda tappa di questa meditazione è, quindi, la coscienza silenziosa del momento presente. Siete esortati a rischiare bene di trascorrere il più valido del vostro tempo a sviluppare solo queste due tappe, poichè se arrivate sino a qui, avrete già percorso una lunga strada nella vostra pratica della meditazione. In questa coscienza silenziosa del “semplicemente adesso” gusterete a fondo la pace, la gioia e, di conseguenza, la saggezza.
Se volete andare più lontano, allora, piuttosto che restare silenziosamente coscienti di tutto quel che appare alla mente, scegliete la coscienza silenziosa nel momento presente di una cosa unica. Questa cosa potrà essere l’esperienza della respirazione,un pensiero di benevolenza (metta), un disco colorato, visualizzato nella mente (kasina), o qualche altro punto di focalizzazione dell’attenzione, che sono meno comuni. Di seguito, descriveremo la coscienza silenziosa nel momento presente della respirazione.
La scelta di fissare la propria attenzione su di una sola cosa, significa lasciare la presa della diversità ed è il movimento verso il suo contrario, l’unità. A misura che la mente si unifica, tenendo l’attenzione semplicemente su di un’unica cosa. l’esperienza della pace, della felicità e della potenza aumenta sensibilmente. In tal modo scoprirete che la diversità della coscienza è come avere sei telefoni sulla scrivania, che suonano tutti contemporaneamente: che prigione! Lasciare la stretta di questa diversità, non permettere che esista altro che una linea, priva di sovrappiù: quale sollievo!E ciò genererà della felicità. Comprendere che la molteplicità è un peso è cosa cruciale per diventare capaci di fermarsi sul respiro.
Se avete evoluto con cura una coscienza silenziosa del momento presente, per lunghi periodi, vi accorgerete che diviene molto facile volgere questa attenzione verso la respirazione e seguirla in ogni suo istante, senza interruzione. Sarà così, perchè i due ostacoli maggiori alla meditazione saranno stati levati via. Il primo di questi due ostacoli è la tendenza dello spirito a fuggirsene nel passato, o nel futuro. Il secondo ostacolo è il discorso interiore. Ecco perchè insegno le due tappe preliminari, che sono la coscienza del momento presente e la coscienza silenziosa del momento presente, come formanti una solida preparazione per andare in profondità nella meditazione sulla respirazione.
Accade ancora che delle persone si mettano a meditare mentre la loro mente salta ancora dal passato al futuro e che l’attezione annega nei commenti interiori. Senza essere preparati, trovano la meditazione sul respiro molto difficile, anche impossibile ed abbandonano per frustrazione. Abbandonano per non avere cominciato dal giusto punto. Non hanno compiuto sufficiente lavoro preparatorio, prima di assumere la respirazione come punto focale dell’attenzione. Tuttavia, se la mente è stata ben istruita, completando queste due prime tappe, troverete di essere largamente capaci di mantenere la vostra attenzione sulla respirazione. Se, al contrario, ne realizzerete la difficoltà, vorrà dire che sarete precipitati nelle due prime tappe. Ritornate agli esercizi preliminari! La pazienza, esercitata con cura, è la via più rapida.
Quando vi concentrate sulla respirazione, fatelo sulla sua esperienza presente. Un’esperienza che vi descrive quel che fa la respirazione; se essa rientra, esce, o si trova fra i due punti. Certi maestri dicono di osservare la respirazione alla sommità del naso; altri dicono di osservarla al livello dell’addome ed altri ancora di spostarla qui, poi là. Da parte mia ho realizzato che tutti questi metodi non hanno nessuna importanza. In effetti, meglio è non localizzare affatto alcun punto! Se voi ponete la respirazione alla sommità del naso, questa diventa la coscienza del naso, e non la coscienza della respirazione; e se voi la ponete al livello dell’addome, questa diviene la coscienza dell’addome. Ponetevi semplicemente la domanda:” ora, sto inspirando, oppure espirando?” Come lo saprete? Là! Sarà l’esperienza a dirvi cosa fa la respirazione; ecco ciò su cui ci si deve concentrare durante questa meditazione sul respiro.Lasciate la preoccupazione di sapere dove se ne stia questa esperienza; focalizzatevi sull’esperienza stessa.
Uno degli ostacoli frequenti a questo stadio è la tendenza a controllare la respirazione, e ciò non la rende confortevole. Per superare questo ostacolo, immaginatevi quale passeggero di una vettura, che guarda la sua respirazione dalla finestra. Non ne siete il conducente e non avete dei telecomandi; quindi, cessate di dare ordini, lasciate la presa ed apprezzate la danza. Lasciate respirare la respirazione, e rimanete a guardare, senza intervenire.
Quando vi renderete conto che la respirazione rientra, o che essa esce, per un centinaio di cicli respiratori consecutivi, senza saltarne uno, avrete allora raggiunto quella che io chiamo la terza tappa di questa meditazione, l’attenzione mantenuta sulla respirazione. E’ un fatto ancora più pacificante e gioioso della tappa precedente. Per andare più nel profondo,dovrete mantenere puntata la piena attenzione sul respiro.
Questa quarta tappa, ossia la piena attenzione mantenuta sul momento presente, sopravviene quando l’attenzione si estende per integrare assolutamente ogni istante della respirazione. Adoperatevi per conoscere la respirazione dal suo primo istante, quando appare la sua prima sensazione. Poi, osservate lo sviluppo progressivo di queste sensazioni per tutta la durata della respirazione, senza saltarne neppure un attimo. Quando essa termina, sappiatela conoscerla integralmente, seguitela nella vostra mente, sino al suo ultimo movimento. L’istante seguente è come una pausa tra due movimenti respiratori, con numerose altre pause, sino a che debutta l’espirazione. Guardate, allora, il primo istante dell’espirazione; poi, ogni sensazione susseguente, a misura che essa evolve, sino a che sparisce, una volta completata la sua funzione. Tutto ciò si compie in silenzio e proprio qui, nel momento presente.
Voi percepite, quindi, ogni parte di ogni inspirazione e di ogni espirazione, in maniera continua, durante centinaia di cicli respiratori consecutivi.Ecco perchè questa tappa viene chiamata “la piena attenzione mantenuta sulla respirazione”. Non potete acquisire questo grado di tranquillità, se non lasciando ogni presa, in modo assoluto, nell’universo intero, eccetto questa esperienza istantanea della respirazione che ha luogo in silenzio, adesso. Non siete “voi” che raggiungete questa tappa; è lo spirito che la raggiunge. Lo spirito fa il lavoro da solo. Lo spirito riconosce questa tappa come una dimora molto piena di tanta pace e gradevole, di restare giusto solo con la respirazione. E’ qui che l’aspetto “faccendiere” – quello maggiore del nostro ego – comincia a cancellarsi.
Troverete facile la progressione, a questa tappa della meditazione. Non dovete fare altro che liberarvi del cammino,lasciare la presa, e guardare tutto quello che c’è da fare. Lo spirito sarà incline con naturalezza, se gliene date l’occasione, a questa unione molto semplice, serena e deliziosa con una sola cosa; di essere semplicemente unito alla respirazione, ogni istante. Ecco, questa è l’unità di spirito, l’unità nell’istante, l’unità nella tranquillità.
La quarta tappa è quella che io chiamo “l’immersione” della meditazione, perchè da qui ci si può immergere negli stati di felicità. Se voi mantenete solo questo stato di unità di coscienza, senza intervenire, la respirazione sparirà. La respirazione pare che sparisca mano a mano che lo spirito si focalizza su quanto trova al centro di questa esperienza del respiro; ossia, una pace, una libertà ed una felicità impressionanti.
A questa tappa, io utilizzo il termine “bella respirazione”. Lo spirito riconosce che questa bella respirazione è proprio straordinariamente bella. Ne siete coscienti costantemente, istante dopo istante, senza alcuna interruzione del filo dell’esperienza. Non siete coscienti altro che di questa bella respirazione, senza sforzo e durante una lunga durata.
Ora, lasciate andare la respirazione e, tutto ciò che vi resta è il “bello”!. La bellezza disincarnata è l’unico oggetto dello spirito. Lo spirito si trova sulle tracce del suo oggetto. Ora, non siete affatto consapevoli della respirazione, del corpo, dei pensieri, dei suoni, o del mondo esterno. Tutto ciò che conoscete è la bellezza, la pace, la felicità, la luce, o poco importa il nome che le troverete più tardi. Voi non percepite altro che un continuum di bellezza, vissuta senza sforzi, senza che esista qualcosa che non sia bella. Già da molto tempo avete lasciato perdere ogni chiacchera, qualunque tipo di descrizione, ogni valutazione. Qui, la mente è talmente tranquilla che voi siete incapaci di dire alcunchè. Vi trovate semplicemente occupati a gustare la prima fioritura di felicità spirituale. Questa felicità si svilupperà, ingrandirà, diverrà molto stabile e solida. E’ in questo modo che si entra in quegli stati di meditazione, chiamati jhana. Ma, questo riguarda la terza parte dell’insegnamento.
Non fare nulla
Non fate assolutemente nulla e guardate come la respirazione appare fluida, bella e fuori del tempo.
Le parti 1 e 2 descrivono quanto noi chiamiamo, qui, le quattro parti della meditazione.
Esse sono:
- la coscenza dell’istante presente
- la coscienza silenziosa dell’istante presente
- la coscienza silenziosa della respirazione dell’istante presente
- la piena attenzione mantenuta sulla respirazione
Ognuna di queste tappe deve essere ben sviluppata, prima di passare alla successiva. Se si affrettano queste “tappe del lasciare la presa”, le successive resteranno inaccessibili. Sarà come costruire un grande palazzo, su delle fondamente inadeguate. Il piano terra è presto fabbricato; il primo ed il secondo anche. Però, quando si aggiunge il terzo, la struttura comincia a vacillare. Poi, cercando di sovrapporre un quarto piano, il tutto crolla. Allora, ve ne prego; trascorrete molto tempo su queste quattro tappe iniziali; redetele ferme e stabili, prima di procedere per la quinta fase. Dovrete essere capaci di sostenere la quarta fase, “la piena attenzione mantenuta sulla respirazione”, restando coscienti di ogni istante della respirazione, senza alcuna interruzione, durante facilmente due, o trecento cicli respiratori successivi. Non dico di contare questi cicli, mentre li si vivono; ma, vi dò un’indicazione della durata che bisogna trascorrere su questa quarta tappa, prima di proseguire.
Nella meditazione, la pazienza è la via più rapida!
La quinta tappa si chiama: “la piena attenzione mantenuta sulla bella respirazione”. Spesso, questa tappa segue naturalmente la precedente, in maniera fluida. Mentre la piena attenzione resta stabile sull’esperienza del respiro, con facilità e costanza, senza che nulla interrompa il flusso uniforme della coscienza, la respirazione si calma. Essa va da grossolana e ordinaria ad una “bella respirazione” molto fluida e serena. Lo spirito riconosce questa bella respirazione e se ne diletta. Percepisce un approfondimento del sentimento di contentezza. E’ felice di stare proprio lì, a guardare codesta bella respirazione, Non ha bisogno di forzare. Rimane, da solo, con la bella respirazione. “Voi” non fate proprio nulla. Se tenterete di fare alcunchè durante questa tappa, disturberete il processo e la bellezza si perderà. E’ come quando si cade sulla casella con la testa del serpente, nel gioco di società dei serpenti e delle scale: dovrete indietreggiare di numerose caselle. Il “facciendiere” deve sparire da questa tappa della meditazione, lasciando libero solo il “conoscitore”, che osserverà passivamente.
Un utile trucco per accedere a questa tappa è quello di interrompere il silenzio interiore solo una volta e pensare, dolcemente: “calma”. E’ tutto. A questo punto della meditazione, la mente è abitualmente così sensibile che un semplice colpo di pollice come questo può bastare, e lo spirito segue l’istruzione. La respirazione si calma e la bella respirazione emerge.
Quando non fate che osservare passivamente la bella respirazione nell’istante presente; le percezioni d’inspirazione, di espirazione, di inizio, di mezzo o di fine ciclo respiratorio debbono tutte potere sparire. La sola cosa da conoscere è l’esperienza della bella respirazione, che si manifesta adesso. Lo spirito non si preoccupa di sapere se è questa parte del ciclo respiratorio, o un altro, e neppure in quale parte del corpo ha luogo. Qui semplifichiamo l’oggetto della meditazione. Si lasciano perdere tutti i dettagli che non sono necessari, si va al di là della dualità del “dentro” e “fuori”, e si resta consapevoli solo della bella respirazione, che appare fluida e continua, appena mutevole.
Non fate assolutamente nulla e guardate come la respirazione può sembrare fluida, bella e fuori del tempo. Provate sino a dove riuscite a lasciare andare la calma. Prendetevi il tempo di assaporare la dolcezza della bella respirazione, sempre più calma,sempre più bella.
Quello che infine accadrà sarà che la respirazione sparirà, non quando “voi” lo vorrete, ma quando vi sarà sufficiente calma, e lascerà dietro di sè solo il “bello”. Esiste nella letteratura inglese una metafora che lo illustra. In “Alice, nel paese delle meraviglie”, di Lewis Carrol, Alice e la Regina Bianca scorgono nel cielo un gatto sorridente. Mentre stanno guardandolo, la coda dello stesso sparisce; poi, lo fanno le zampe, come anche il resto delle gambe. Poco dopo, svanisce il suo busto,lasciando solo la testa, sempre sorridente. In seguito, si dissolve progressivamente lo stesso capo, cominciando dalle orecchie e dai baffi, seguiti dalla testa intera, eccetto il sorriso, che resta lì, sospeso in cielo! Ecco una metafora molto precisa per descrivere il processo del lasciare la presa, che viene fatto a questo punto della meditazione. Il gatto, dal viso sorridente, è la bella respirazione. Il gatto mentre sparisce è la bella respirazione che scompare ed il sorriso disincarnato, che resta visibile nel cielo, è l’oggetto puro di “bellezza”, chiaramente visibile nello spirito.
Questo oggetto mentale si chiama un nimitta. “nimitta” sognifica un segno; nel nostro caso, un segno mentale. Si tratta di un vero oggetto, nel paesaggio mentale (citta) e, quando appare per la prima volta, risulta estremamente strano. Semplicemente, non si è mai vissuta una simile esperienza, in passato. Tuttavia, l’attività mentale chiamata “percezione”, cerca nella sua banca dei dati vissuti qualche cosa di simile, anche se si tratta di poco, per fornire allo spirito una descrizione del fenomeno, sino ad oggi sconosciuto. Per la maggioranza delle persone che meditano, questa “bellezza fuori della carne”, questa gioia mentale viene percepita come una bella luce. Ma, non è una luce. Gli occhi sono chiusi e la coscienza visiva è da lungo tempo estinta. Si tratta della coscienza liberata per la prima volta dai cinque sensi. E’ come la luna piena,qui paragonata allo spirito radioso, che si libera dalle nuvole, paragonate al mondo dei cinque sensi. E’ lo spirito che si manifesta, e non una luce; ma, per molti, ciò appare come una luminosità, poichè questa imperfetta descrizione è la migliore che la facoltà percettiva abbia da offrire.
Per altri, questa facoltà di percezione sceglie di descrivere la prima delle manifestazioni spirituali, secondo delle sensazioni fisiche, simili ad una tranquillità, o ad una estasi intense. Ancora una volta, la coscienza fisica (quella che risente del piacere e del dolore, del caldo e del freddo, ecc.) è spenta da lungo tempo, e non si tratta, in questo caso, di una sensazione fisica. Lo si “percepisce” come simile al piacere. Certuni vedono una luce bianca, altri una stella dorata, altri ancora una perla blu… Importa, qui, sapere che sono tutte delle descrizioni dello stesso fenomeno. Queste persone godono, ognuna, del medesimo oggetto mentale ed i diversi dettagli sono percepiti dalle diverse facolta interiori.
Potrete riconoscere nimitta dai 6 criteri seguenti:
- appare solo al quinto stadio della meditazione, dopo che la persona sia rimasta a lungo sulla bella respirazione;
- appare quando sparisce la respirazione;
- appare solo quando i cinque sensi esterni della vista, dell’udito, dell’odorato, del gusto e del tatto sono completamente assenti;
- si manifesta solo nello spirito silente, quando i pensieri descrittivi (i discorsi interiori) sono totalmente assenti;
- è una cosa strana, ma che attrae fortemente;
- è un oggetto magnificamente semplice.
Vi rivelo queste caratteristiche, perchè voi possiate fare la differenza tra il vero nimitta e quelli che nascono dall’immaginazione.
Questa sesta tappa si chiama “l’esperienza del bel nimitta”. E viene raggiunta quando si lascia la presa del corpo, del pensiero, e dei cinque sensi (compresa la consapevolezza della respirazione) ad un tale punto, che non resta altro che il bel nimitta.
A volte, quando comincia ad apparire, il nimitta può sembrare che manchi di luminosità; gli è perché la profondità dei vostri contenuti è insufficiente. State ancora “volendo” qualche cosa. Abitualmente, avete desiderio di un nimitta vivo, o di un jhāna. Ricordatevi – ed è importante – che gli jhāna sono delle situazioni in cui si lascia la presa degli stati di contentezza incredibilmente profondi. Quindi, sbarazzatevi dello spirito affamato, sviluppate la contentezza con la bella respirazione e gli jhāna verranno da soli.
La principale ragione per la quale il nimitta sembra mancare di luminosità sta nel fatto che la profondità della contentezza interiore è insufficiente. Voi state ancora “volendo” qualcosa. In genere, si desidera un nimitta vivo, oppure un jhāna. Ricordatelo, ed il fatto è importante, che gli jhāna sono il risultato di un “lasciare la presa”; degli stati di gioia incredibilmente profondi. Di conseguenza, sbarazzatevi del vostro spirito affamato, accrescete la contentezza con la bella respirazione ed il nimitta , assieme agli jhāna, si mostreranno conseguentemente, con naturalezza.
La principale ragione di instabilità di un nimitta, è che il “faccendiere” semplicemente non vuole smettere di intromettersi. Il “faccendiere” è colui che controlla, colui che vuole pilotare dall’ultimo posto, che si impiccia costantemente in quanto non lo riguarda e guasta tutto. Questa meditazione è un processo naturale, che porta al riposo e richiede che vi “liberiate” completamente.
Un utile trucco per raggiungere uno stacco profondo dalla presa è quello di offrire deliberatamente la vostra fiducia al nimitta. Interrompete il silenzio giusto per una volta, e molto, molto delicatamente sussurrate, come se fosse verso il vostro spirito, che state dando piena fiducia al nimitta, affinché il “faccendiere” possa abbandonare l’intero controllo e, semplicemente, tutto sparirà. Lo spirito, rappresentato davanti a voi dal nimitta, prenderà allora in mano il processo ed a voi non resterà che osservare lo sviluppo della situazione.
A questo punto non mi resta nulla da fare, perchè la bellezza intensa del nimitta è più che capace di trattenere l’atenzione, senza il vostro aiuto. Concentratevi qui, e non mettetevi a fare valutazioni. Domande come:” Cosa è questo?”, “che si tratti di un jhāna?”, che debbo fare, adesso?”, e così di seguito sono tutte opera del “faccendiere”, che cerca, nuovamente, di prendere la situazione in mano. Questo fatto disturba il processo. Potrete fare tutte le vostre valutazioni, una volta terminato il viaggio. Un bravo scienziato valuta un’esperienza solo alla fine, dopo avere collezionato ogni dato. Quindi, per il momento, non cercate di valutare, o di capire tutto. Non vi è alcun bisogno di prestare attenzione ai contorni di nimitta:”è tondo, oppure ovale?”,”i bordi sono chiari,oppure sfumati?”. Tutto ciò non è necessario e nè porta alcun vantaggio, ma solo a diversità, dualità tra “dentro” e “fuori”; a vantaggio del disturbo.
Lasciate che lo spirito vada verso ciò che l’attira; generalmente il centro di nimitta. E’ al centro che si trova la parte più bella, o la luce più brillante e più pura. Lasciate la presa ed apprezzate il viaggio, mentre l’attenzione è attratta al centro e vi si tuffa, mentre la luce si estende tutt’intorno e vi avviluppa completamente.Si tratta, in effetti, di una ed una sola esperienza, percepita da diversi punti di vista. Lasciate che lo spirito si fonda nella beatitudine. Lasciate che sorga la settima tappa di questa via meditativa: il primo jhāna.
Due ostacoli divengono comuni alla soglia del primo jhāna: l’eccitazione, o la paura. Eccitarsi, significa agitarsi. Sul momento, la mente pensa:” Ouaah!, eccolo!”, ed è allora molto improbabile che lo jhāna si mostri. Questa reazione:”Ouaah!” deve essere controllata, a favore di una passività assoluta. Potete conservare tutte le esclamazioni per più tardi, quando emergerete da jhāna, al momento in cui esse saranno più appropriate. L’ostacolo, tuttavia, più probabile sarà la paura. Che appare appena vengono riconosciute la potenza e la beatitudine dello jhāna; o, quando si riconosce che per completamente entrare in jhāna, bisogna abbandonare qualche cosa:voi! Il “faccendiere” è silenzioso prima di jhāna, ma sempre presente. Durante lo jhāna, invece, sparisce completamente. Il “conoscitore” funziona sempre; voi restate pienamente consapevoli, ma ogni comando è, adesso, fuori portata. Non potete formulare un solo pensiero; senza parlare, poi, di prendere una decisione. La volontà se ne rimane gelata e questo può sembrare terrificante per il debuttante. Non vi era mai capitato, prima, nella vostra esistenza, di restare così denudato di ogni controllo, e, nel contempo, così risvegliato. Questa paura, la paura di cedere qualche cosa di tanto essenzialmente personale, quanto la volontà di fare.
Questa paura può essere superata con la fiducia negli insegnamento del Buddha, come anche nella seducente beatitudine che si può già percepire un pò a distanza, come ricompensa. Il Buddha ha spesso detto ” che non bisogna spaventarsi della beatitudine che c’è nello jhāna, ma seguirla, svilupparla e praticarla sovente” (Latukikopama Sutta, Majjhima Nikāya). Quindi, prima che appaia la paura, offrite la vostra piena fiducia a questa beatitudine e mantenete ferma la vostra fede negli insegnamento di Buddha e sull’esempio dei suoi nobili discepoli. Date fede al Dhamma e lasciate che jhāna vi avvolga caldamente per una esperienza senza sforzo, al di fuore del corpo e dell’ego; esperienza beatificante, che sarà la più profonda della vostra vita. Abbiate il coraggio di abbandonare, per un momento, tutto il controllo e di vivere tutto ciò per conto vostro.
Se si tratta di un jhāna, durerà a lungo. Non merita di venire chiamato jhāna se si prolunga solo per qualche minuto. D’abitudine, gli jhāna superiori persistono per delle ore. Una volta entrati in essi, non si ha più la possibilità di scegliere. Uscirete dall’jhāna, una volta che lo spirito sarà pronto a farlo, e quando i “crediti” di abbandono, accumulati precedentemente saranno completamente spesi. Si tratta di stati di coscienza così tranquilli e soddisfacenti, che la loro stessa natuira è quella di essere persistenti per molto tempo. Un’altra caratteristica dello jhāna è che esso arriva dopo che si è raggiunto il nimitta, come lo abbiamo sopra descritto. Inoltre, si deve sapere che quando vi trovate immersi in non importa quale jhāna, è impossibile percepire il corpo (per esempio: un dolore fisico), di ascoltare un suono esterno, o di produrre un solo pensiero; neppure, un “buon” pensiero. Esiste solo un’unicità di percezione, chiara, un’esperienza di beatitudine non duale, che prosegue, senza modificazioni, per lungo tempo. Non si tratta di una trance, ma di uno stato di coscienza elevato.Ciò è detto affinchè voi possiate sapere, per conto vostro, se quanto prendete per un jhāna è reale, oppure immaginario.
La meditazione è molto più di questo, ma qui viene descritto il metodo fondamentale dello sviluppo, quando si utilizzano le sette tappe, che culminano con il primo jhāna. Ci sarebbe da dire molto di più sui “cinque ostacoli” e come superarli; sul senso di presenza di spirito e come essa viene impiegata; sui quattro fondamenti della presenza mentale (satipatthāna), le quattro vie del successo (iddhipāda), le cinque facoltà (indriya), come anche, evidentemente, sugli jhāna superiori. Tutto questo riguarda anche questa pratica della meditazione, ma noi dobbiamo conservarlo per un’altra occasione.
Per coloro che potrebbero equivocare tutto quando detto, nel senso di “non v’è nulla della pratica di samatha, e non si considera neppure vipassanā”, sappiate che non si tratta nè di vipassanā, nè di samatha. Si chiama “bhāvanā”, il metodo insegnato da Buddha e ripreso dalla tradizione della foresta del nord-est della Thailandia, della quale il mio maestro, il venerabile Ajahn Chah faceva parte. Ajahn Chah diceva sovente che samatha e vipassanā non possono essere separati, e che questo paio di realtà possono svilupparsi separatamente, secondo la via giusta, il pensiero giusto, la condotta morale giusta e così di seguito… In effetti, per progredire nelle sette tappe descritte precedentemente, la persona che medita ha bisogno di una comprensione e di una accettazione degli insegnamenti del Buddha; ed i suoi precetti debbono essere puri. Sarà necessaria una rivelazione per raggiungere ognuna di queste sette tappe, cioè la rivelazione del significato del “lasciare la presa”. Più si sviluppano queste tappe e più le rivelazioni saranno profonde, e se voi giungerete sino ad jhana, la vostra intera comprensione ne verrà rovesciata. Infatti, la rivelazione danza attorno allo jhāna, e lo jhāna attorno alla rivelazione. Si tratta della via per il nibbāna. Il Buddha ha detto:” per colui che si affida allo jhāna, ci si deve attendere quattro risultati: la realizzazione del sotapanna (la persona che è entrata nel sentiero), del sakadāgāmī (colui a cui non resta che un solo ritorno) dell’anāgāmī (colui che ha raggiunto la realizzazione del non-ritorno), o dell’arahant (colui che ha raggiunto lo scopo ultimo)” (Pasādika Sutta, Dīgha Nikāya).