11 novembre 1994 – Zazen delle h 20.30
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Dogen dice: “E’difficile essere nati essere umani e ancor più entrare in contatto con la via del Buddha. Ma grazie al nostro buon karma passato, non solo siamo nati esseri umani, ma abbiamo anche potuto incontrare l’insegnamento del Buddha”.
In questo regno della vita e della morte, il samsara, dobbiamo considerare la nostra vita presente come la migliore e non dobbiamo sprecare il nostro prezioso corpo umano in modo stupido, abbandonandolo al vento dell’impermanenza, passando il proprio tempo a inseguire gli oggetti impermanenti. L’impermanenza è ciò su cui non ci si può fare affidamento; come dice il Cristo, ad esempio: “Il figlio di Dio non ha alcun luogo ove appoggiare il capo”. Non si sa quando, nè dove la nostra avrà fine. Il nostro corpo è aldilà anche del nostro controllo. La nostra vita si trasforma d’istante in istante, trascinata dalle trasformazioni del tempo. Rapidamente il nostro viso di bambino sparisce, non se ne ha più traccia, non si può tornare sui propri passi, non si può tornare indietro nel tempo. Quando si incontra la morte niente ci serve più a nulla, niente di ciò che abbiamo accumulato ci sarà di alcun aiuto.
Dôgen aggiunge: “Noi dobbiamo entrarci soli, accompagnati solo dal nostro buon o cattivo karma, perchè per lui, la morte è un passaggio, non la fine”. Il karma continua, ci accompagna. Risvegliarsi a questa realtà dell’impermanenza non è affatto diventare malinconici, vuol semplicemente dire svegliarsi dal proprio sogno. Allora, si ha voglia di praticare la cosa più importante, di incontrare ciò che ci eviterà il rimpianto di dover lasciare questa vita. Così questo diventa un grande, un potente stimolo. Alla fine della propria vita, il Maestro Dôgen insisteva molto sulla causalità e il karma. Consigliava si suoi discepoli di evitare di accompagnarsi a persone che erano nell’illusione e che ignoravano questa legge del karma e della causalità.
Ne ho spesso parlato durante altre sessioni. Non ci si deve vedere una fatalità, o qualcosa di greve, ma al contrario vedere che siamo i creatori della nostra vita, che il mondo nel quale viviamo è una nostra creazione, che non c’è il caso né cattivi, né demoni cattivi, ma soltanto esseri umani che sono totalmente responsabili di quel che fanno. Quando seminiamo delle buone cause, raccogliamo buoni effetti. Per esempio: quando ci si concentra sulla pratica del gyoji, zazen, samu, cucitura del rakusu e del kesa, la nostra vita diviene del tutto semplice e pura, senza complicazioni. Quando ci si concentra totalmente sulla postura di zazen, corpo e mente tornano alla loro condizione originaria, immediatamente. In quel caso la causalità è più rapida.
A volte, la retribuzione degli atti arriva a tempi lunghi, come quando seminate un seme di mela e potrete raccogliere nuove mele, nuovi meli dopo dieci, vent’anni. Quando le condizioni maturano, il risultato si produce.
Se si osserva la nostra vita in questo modo, allora è possibile cambiare la propria vita; senza bisogno d’essere fatalisti, rassegnati. Se Buddha apparve in questo mondo, è proprio perché è possibile cambiare il karma, non soltanto il proprio karma, ma il karma dell’umanità. Se no non si sarebbe dato pena di insegnare, di praticare per cinquant’anni. Così, credere al karma è una visione del tutto ottimista che permette di fare, degli esseri umani, degli essere veramente liberi. Per questo Dôgen diceva: “E’ la prima cosa che si deve studiare se si vuole entrare nella via”.
Anche Kodo Sawaki diceva: “Il fatto di non avere intuizione significa non credere nella causalità. Invece credere nella causalità è credere nella possbilità illimitata di cambiamento“. E’ quel che Bodhidarma spiegava nella celebre poesia che scrisse quando gli si chiese il senso del suo arrivo in Cina:
Un fiore s’apre in cinque petali
questo schiudersi è un divenire naturale.
Quando un essere umano si concentra solo su zazen, si dimentica completamente nella postura di zazen, allora diventa immediatamente simile a Buddha, realizza immediatamente la sua natura di Buddha.
(Da: Yuno Kusen 2) Traduzione dal francese di Daniele Martino.
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