Una delle nostre cattive abitudini è prendere il mondo troppo sul serio, il mondo in senso fisico e psicologico. Consideriamo le cose, gli oggetti e le persone come assolutamente reali. Ma, quando esaminiamo questi fenomeni, constatiamo che sono effimeri, sono solo delle apparenze. E una semplice apparenza non può in nessun modo essere assimilata al Reale, all’Eterno; perché, se è presente ora, non lo sarà domani. Chiamerei questa verità il principio della Maya, la nostra tendenza a sbagliarci, a confondere sempre la corda col serpente. E, a causa di questo principio, non abbiamo la minima idea della nostra vera natura, che non è un’apparenza, una cosa che è nata e morirà.
Se fate una meditazione di qualsiasi genere, il vostro compito principale dovrà essere quello di sbarazzarvi di tutte le illusioni.
D: E’ stato detto che dobbiamo conoscere noi stessi. Ma come si fa? Il Sé si può scegliere, tentare di ottenere o di conquistare o lo si deve vedere in modo molto più sottile? Dapprima si devono riconoscere i fenomeni per quello che sono, semplici apparenze. Poi ciò che rimane deve necessariamente costituire il reale. E’ il solo approccio che vale e ha senso. Prima di fare qualsiasi cosa in campo spirituale, la base deve essere necessariamente questa. Quando assistiamo a incontri come questo, abbiamo voglia de fare domande di ogni sorta e, se guardate attentamente, esse si riferiscono al principio della Maya, o piuttosto sul suo non-riconoscimento. Gli uditori hanno molti pregiudizi su se stessi: hanno una conoscenza come quella di essere nati, che moriranno, che hanno un nome, una forma, ecc. Le loro domande partono da questo. E’ esatto?
R.P.: Poiché queste domande si basano su un punto di vista sbagliato, anche le risposte saranno sbagliate. Così tutto l’incontro si trasforma in un esercizio inutile. Dobbiamo quindi, prima di tutto, confrontarci con quel principio della Maya che consiste nel vedere in ogni corda un serpente. Allora si è immancabilmente condotti a porsi la questione della propria identità. Chi sono realmente? Sono questo corpo? Sono questa mente? O sono qualcosa che è impossibile esprimere a parole?
La risposta è: “io non può essere pensato, perché ciò che sono è totalmente diverso da ciò che può essere espresso da un concetto, dal linguaggio”. Poiché sono del tutto incapace di formulare ciò che sono, non posso che restare silenzioso.
E, in quel silenzio, posso essere Quello, ciò che sono realmente.
Ma dal momento che sono portato a formulare una qualsiasi verità su ciò che sono, mi ritrovo nel mondo dei concetti.
Perché una meditazione sia fruttuosa, deve essere in rapporto con il tema della Maya. E’ solo con questa comprensione che potete capire ciò che è il vero Sé. Siamo abitualmente identificati con il corpo e con un nome e non sospettiamo mai di non essere coscienti e che questo insieme di concetti e di memorie che chiamiamo me è un prodotto dell’immaginazione. Se solo potessimo vederlo, capire l’impostura dell’io pensiero, dell’io concetto, allora non ci sarebbe niente altro da fare. L’identificazione si produce per diverse ragioni, a causa dell’educazione, del condizionamento, della mancanza d’attenzione soprattutto e della meditazione nel senso vero di studio di sé. Abbiamo una conoscenza superficiale del nostro corpo e un’esperienza superficiale della mente e dei concetti associati alla mente; allora concludiamo che siamo tutto questo. In questo modo siamo questo insieme di concetti, di memoria e di opinioni.
Non so se vi siete già dedicati a questo genere di riflessioni. Per esempio, vi siete già interrogati sulla natura del corpo con cui vi identificate? Il corpo è evidentemente inerte. Non dice di avere una particolare identità, è la mente che lo dice. La mente, che si è trovata avvantaggiata rispetto al corpo, è un sistema chiuso. Tutte le sue conclusioni sono basate sulla propria esistenza. Essa si dice: “si, sono io, posso provare che questa mente ha un’esistenza reale”, ed è ancora fondato sulla sua irrealtà. Infatti ci si può domandare per chi questa mente è reale, per chi questo ego è reale. La risposta è sicuramente: per se stesse. E’ un sistema chiuso! Ecco un esempio di ragionamento in circuito chiuso. Ciò equivale per la mente a dire che è reale, ma una tale situazione è fondata su nulla, non viene dalla sorgente della realtà, dall’Assoluto.
Risvegliarsi a questo ragionamento a circuito chiuso taglia l’erba sotto i piedi all’ego usurpatore, la falsa realtà, dissolvendola persino a livello fisico.
Guardate il mondo così com’è. Più lo guardate e più vedrete che non c’è conferma indipendente dalla sua esistenza. La sola base su cui riposa è la mente. E’ interessante osservare che il mondo comincia a essere nel momento in cui lo stato “io sono” comincia a essere. Dal momento in cui siete coscienti, il mondo viene visto. E dal momento in cui la coscienza vi lascia, se siete profondamente addormentati, tutto scompare. Così lo stato “io sono” e il mondo sorgono al tempo stesso; i due sono uno solo.
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D: Quando si dorme, quando non ci sono più stimoli sensoriali, non c’è niente? Forse nessuna cosa è veramente niente, o è qualcosa totalmente al di là dei nostri concetti?
R.P.: E’ vero; noi nominiamo tutto. E, se dite nessuna cosa, significa l’opposto di qualche cosa; dunque nessuna cosa è per me solo un concetto; non avete la possibilità di immaginare nessuna cosa, perché è al di là dell’esperienza di un essere umano. E, se vi arrivate, forse non c’è niente che sia nessuna cosa. E’ un’estrapolazione per l’assenza di realtà. E’ una pura estrapolazione del cervello d’un concetto nel suo opposto.
Quando vi vedete sotto questo aspetto, avete uno sguardo differente sul mondo e su voi stessi. Se il Sé e il mondo non sono che uno, allora non c’è neanche separazione tra due individui. Lo stesso, la separazione tra la vita e la morte scompare, perché questa separazione si basa sull’esistenza fisica del corpo e della mente. In nessun momento l’entità corpo-mente scompare dal mondo, perché i due sono uno e non possono essere separati!
D: Provo a visualizzarmi bambino di due giorni. Bene, non faccio che immaginare, perché non ho ricordi di allora. Non può esserci la sensazione di se stesso. Questo neonato è nella sua culla e il mondo è là, al di fuori. La sua coscienza è forse un po’ confusa; non è sicuro di sapere dove finiscono le sue mani e dove comincia la culla.
R.P.: E’ solo un automa fisiologico. La sua memoria, non essendo ancora sviluppata, la sua coscienza è al minimo. Ma comincia e dopo un anno, saranno già acquisiti numerosi ricordi. Ricordatevi di ciò che diceva Nisargadatta, ciò che siamo è essenzialmente il prodotto dei cinque elementi. E Maharaji non cessava d’insistere su questo. Perché dava tanta importanza al fatto che non siamo niente di più che il prodotto dei cinque elementi e dei tre guna, che sono le tre qualità principali? Perché ritornando, riflettendo sulla propria nascita, si prende coscienza che questo ego empirico è molto semplicemente una macchina, una macchina psicofisiologica d’azione, reazione, avendo in se stessa una vita. Per insistere sulla sua natura meccanica Maharaji definiva questa egocoscienza, come chimica. E, identificandovisi, cominciano tutte le disfunzioni.
D: Quali sono i cinque elementi?
R.P.: La terra, l’acqua, il fuoco, l’area e l’etere( quest’ultimo significa lo spazio ma non nel senso preeinsteniano della parola etere).
D: Quale sarebbe la differenza di qualità d’essere tra qualcuno come Nisargadatta e un neonato che non ha un ego, concetti ecc.? Sono identici?
R.P.: Non possono evidentemente essere identici, ma c’è una grande somiglianza tra i due stati. Come dice lo stesso Maharaji, quando un uomo invecchia, abbandona tutto ciò che ha appreso e accumulato e si riavvicina allo stato della sua nascita. Quando si avvicina il momento della morte, è presente; diventa come un bimbetto che non ha ancora dei meccanismi intellettuali.
D: La sola differenza è che sa come parlarne, è cosciente di se stesso.
R.P.: Si, oggettivamente, incarna questo stato d’essere, quello in cui si è separati dalle proprie illusioni e si sono viste le cose come sono realmente. Si osserva il mondo non attraverso il principio della Maya.
D: Cos’è il principio della Maya?
R.P.: E’ vedere un serpente ogni volta che si guarda una corda. Superarlo è essenziale per vedere il reale.
D: Si., capisco, ma perché usare il termine Maya?
R.P.: Semplicemente perché è una terminologia ben accettata nel pensiero orientale, non solo nell’induismo ma anche nel buddismo. Significa press’a poco illusione ma anche misurare. E’ una nozione interessante perché la misura è anche una forma d’illusione: quando misurate una cosa, dovete prima accettare che essa è un’entità separata.
D: Chi semina la confusione, l’ego o il principio della Maya?
R.P.: Non potete dire che la Maya e l’ego mentale siano principi separati. Hanno tutti e due la stessa origine, una mancanza di pulizia della mente. La mente è uguale a Maya. Nella letteratura si dice che la mente è Maya. Perché senza impurità, senza illusione non c’è la mente. La mente sono i pensieri. Non adoperiamo pensiero in senso scientifico o tecnico ma in senso psicologico: tutti i nostri fantasmi, le nostre false idee, prendere il non-senso per la realtà. E’ la Maya. Per questa ragione la mente s’inventa dei problemi, come la paura, i conflitti, gli attaccamenti. Poi lotta per esserne liberata e questo crea altri problemi. La mente aspira a raggiungere la realizzazione, come se la realizzazione fosse una cosa molto lontana, di cui occorre impadronirsi. La mente ha una caratteristica strana: rifiuta di avere a che fare con se stessa, rifiuta di guardare dentro di sé, perché sarebbe una minaccia mortale per la sua sopravvivenza, una minaccia di auto-dissoluzione.
Il principio della Maya è una forza molto potente, perché l’alternativa è la morte. La morte dell’ego è la soluzione, non c’è ambiguità né compromessi. Ogni compromesso è la continuità del principio della Maya.
D: L’arte di maneggiare la spada nello Zen è interessante. I novizi sono iniziati a un’arte molto distruttiva, nella quale si liberano del loro ego. Il bel gesto col quale combattono e uccidono il loro nemico si basa sull’eliminazione dell’ego.
R.P.: Si, ma qui c’è un problema; è il modo in cui ne parlate. Quando dite che eliminano l’ego, chi esattamente elimina l’ego per piacere, esaminiamo questo. E’ un punto molto importante. Chi è questa entità? Può esserci un’entità che elimina l’ego?
Qualcun’ altro vuole fare un’osservazione?
D: Sono confuso con i termini che usiamo. Io elimino il mio ego. Quell’io può eliminare il mio ego? Lo stesso linguaggio è strutturato attorno all’ego. Da quando si comincia a parlarne e a provare a rapportarsi a quello che non è l’ego, siamo condizionati dal linguaggio e diventa molto difficile parlarne.
R.P.: Un maestro Zen a nome Bankei paragonava il processo suggerito dal nostro amico all’istante, l’eliminazione dell’ego, con il fatto di lavare il sangue col sangue. Quello che elimina fa parte del problema, di colui da cui vuole essere eliminato. Non è possibile, perché chi elimina e chi vuole essere eliminato sono uno.
D: Siamo senza speranza!
R.P.: In effetti non c’è speranza. Non mettetevi su questa strada! Non provate!
Ritorniamo al punto di partenza. Possiamo vedere che il mondo degli oggetti e delle persone, tutto intero, è sorgente di delusioni se lo considero reale? Ma se lo vedo come fenomeni, apparizioni, come vedrei un’opera teatrale alla televisione, i suoi attori, personaggi artificiali che non fanno che imitare persone reali, allora sono fuori da tutto questo, dal principio della Maya.
D: E’ come la corda e il serpente.
R.P.: Si, dovete andare al di là. Se non vedete l’illusione, non c’è reale per voi. Non potete arrivare al reale per nessun’altra via. Avete bisogno di vedere l’illusione, a volte in televisione, perché non è che una televisione, e nella percezione che avete del mondo, perché non è che una percezione, una fabbricazione. Riassumendo, quello che chiamiamo il mondo non è che un’immagine, un concetto. E’ terribilmente importante. Quando ne vedete l’importanza, la questione di sapere se dovete fare meditazione diventa inutile, dovete averla superata, perché è quello che la meditazione dovrebbe sempre essere.
[ Robert Powel ]
(Da: 3ème Millenarie n. 65 – Traduzione di Luciana Scalabrini)