L’immagine della mistica in Occidente è stata notevolmente distorta. In questo termine aleggia un’ombra di bigotteria e di esotismo, di segreto e di santità elitaria. E questo è proprio quello che la mistica non è. Ecco perché è importante, prima di tutto, spiegare cosa sia effettivamente la mistica, vale a dire null’altro che la realizzazione della realtà. Spiego. La realtà che noi consideriamo reale non è vera realtà. La vera realtà si dischiude ai nostri occhi solo quando abbandoniamo la consapevolezza abituale dello stato di veglia ed entriamo in una sfera di coscienza superiore, che – rispetto alla coscienza personale dell’Io – può essere definita come “coscienza transpersonale”.
In molti rappresentati della psicologia avanzata troviamo una distinzione tra i diversi livelli di coscienza. Lo stadio di coscienza prepersonale, o preparazionale, è il livello del corpo e delle percezioni sensoriali, delle emozioni, di semplici cognizioni sotto forma di immagini e di simboli, e delle rappresentazioni mitiche, senza tuttavia una coscienza chiara. Questo livello corrisponde alla coscienza del nostro Io. A livello della coscienza transpersonale, l’essere umano supera la propria coscienza dell’Io, immergendosi in una realtà che trascende l’ego. Ciò avviene anche sotto forma di immagini e di simboli (visioni e profezie).
A livello di coscienza cosmica avviene l’esperienza mistica vera e propria: l’esperienza del vuoto, della “Divinità” senza predicati. Qui l’uomo fa esperienza del “puro essere”, l’origine di tutto. È lo stadio che precede tutto quanto può crearsi. Ecco perché non si ha a che fare con un essere che è sostanza. Dionigi l’Areopagita l’ha espresso in modo meraviglioso in una poesia: “La causa prima di ogni cosa non è né essere né vita, poiché è stata lei stessa a creare l’essere e la vita. La causa prima non è neanche concetto o ragione. Perché è stata lei stessa a creare i concetti e la ragione”.
L’esperienza mistica è l’esperienza dell’unità di forma e vuoto, della propria identità con la Realtà Prima. Tale livello di coscienza è la meta della vita spirituale. Questa coscienza è l’esperienza mistica e colui al quale accade diventa un altro. Le sue concezioni religiose si trasformano. Compiere questo passo significa, in un certo senso, morire; perciò nella tradizioni mistica tale esperienza viene descritta come la “morte dell’Io”.
Per la mistica non si tratta, comunque, di eliminare l’io o di combatterlo. Si tratta semplicemente di rimetterlo al proprio posto e di ridargli il peso che gli spetta. Ecco perché ci si sforza di riconoscere l’io per quello che è effettivamente: un centro organizzativo per la struttura personale dei singoli individui. Questo centro organizzativo ha un valore irrinunciabile per la nostra vita. È quanto ci rende umani. Questo è ovvio per la mistica. L’esperienza mistica, però, porta l’uomo a non identificarsi più in prima istanza con questo Io palese, liberandolo ed aprendolo ad una realtà nella quale l’Io non è più predominante.
Nel cogliersi come realtà superiore, l’ego non diventa “meno ego”, ma “più ego”.
Ecco perché i mistici non provano un senso di perdita quando l’Io si tira indietro. Fanno esperienza di qualcosa di molto più prezioso, che non lascia nemmeno affiorare l’idea di una perdita. Di conseguenza, sono quasi sempre delle personalità forti. Molti mistici del passato avevano un Io così marcato, che hanno preferito finire sul rogo, piuttosto che tradire la propria convinzione. Per la mistica, nella vita non contano né la giustificazione, né l’appagamento dell’Io, né l’autorealizzazione. Si tratta esclusivamente di smascherare tutti i progetti dell’ego – anche o proprio soprattutto quelli religiosi – come transitori. Nella pratica contemplativa, quello che conta è ridurre anche la volontà, quand’anche si tratti di buona volontà. Finché compiamo gli atti religiosi o recitiamo le professioni di fede per ottenere un tornaconto personale, non siamo ancora avviati sul cammino della mistica. Ci irrigidiamo sullo schema del “Do ut des”, del “non si dà nulla per nulla”.
Sarebbe troppo semplice accusare solo lo spirito dei tempi, senza accorgersi che questo non fa che seguire una tendenza che tutte le religioni affermate conoscono bene: la tendenza a costruire strutture che preparano la strada alla mentalità del baratto. Ogni volta che vengono emanate delle norme etiche e si esaltano le professioni di fede in quanto apportatrici di redenzione, è in agguato la grande tentazione di usare tali norme e professioni per tranquillizzare l’Io. In tal modo si è ben lontani dall’abbandonarlo, anzi, non si fa che rafforzarlo. Aggiungerei: l’ego si infila in una prigione autocostruita, nella quale alla fine non può che segnare il passo.
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– Da: mistica.info