La meditazione seduta non è, come spesso si suppone, un esercizio spirituale, una pratica seguita per un fine ulteriore. Dal punto di vista buddhista, è solo il modo giusto di sedere, e appare del tutto naturale rimanere seduti fintanto che non vi sia altro da fare, e finché non ci colga l’agitazione nervosa.
All’irrequieto temperamento occidentale la meditazione seduta può sembrare una penosa disciplina, perché noi ci consideriamo incapaci di sedere “solo per sedere”, senza scrupoli di coscienza, senza sentire che dovremmo fare qualcosa di più importante per giustificare la nostra esistenza. Per ingraziarci questa coscienza inquieta, la meditazione seduta dev’essere perciò considerata come un esercizio, come una disciplina miranti: a uno scopo ulteriore. Proprio a questo punto, invece, essa non è più meditazione (dhyana) nel senso buddista; poiché dove esista uno scopo, dove esista una ricerca e una lotta per dei risultati, non v’è dhyana.
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