Quando ci dedichiamo all’osservazione e nostri stati mentali, sulle prime non dobbiamo far altro che lasciarli manifestarsi e svanire a loro piacimento. A volte potremo notare particolari tipi, o intrecci, o modelli di pensiero che si ripetono con assiduità: si tratta, magari, di progetti o di giudizi, o di sensi di colpa legati a ricordi, o sono invece quei tipici melodrammi di rapporti personali, salute, creatività e lavoro che si manifestano senza posa. Essi, a poco a poco, cominciano a rivelarci schemi familiari del modo di operare della mente. Altre volte, più che i pensieri, sono i sentimenti e le emozioni che si distinguono per la loro frequenza: paura, amore, desiderio, ansia, tristezza, o altri stati del genere.
Quando, dapprincipio, li vediamo manifestarsi e svanire, la nostra osservazione può restare superficiale, specie riguardo agli schemi che si ripetono con maggiore assiduità. Ma, a mano a mano che li guardiamo manifestarsi ripetutamente, cominciamo a renderci conto che questi schemi sono come strati della nostra resistenza, e che il loro continuo movimento nasconde più profondi aspetti di noi stessi. In tal modo, essi ci pongono domande estremamente stimolanti, difficili e importanti: che cosa li fa muovere? Che cosa in particolare si cela sotto i nostri schemi mentali più frequenti? A questo punto, possiamo condurre la nostra consapevolezza a un ulteriore livello e lavorare sul contenuto della mente per acquisire le capacità proprie di una più profonda attenzione.
Prendiamo l’esempio di pensieri ripetitivi. Questi in genere si manifestano quando non abbiamo perfettamente riconosciuto il sentimento che li ispira. Ci possiamo accorgere, ad esempio, che la mente è sempre impegnata a far progetti; ora, se riusciamo a osservare questa attitudine con un’attenzione estremamente accurata, possiamo divenire consapevoli del sottile sentimento che si suscita quando ci accorgiamo che tutto quel nostro progettare è accompagnato da uno stato di paura: e, in genere, quando riconosciamo pienamente la paura, il bisogno di progettare svanisce. In questo modo, rimasti in compagnia della nostra paura, dovremo percepirla, accoglierla, osservarla e comprenderla. Parimenti, uno schema ripetuto riguardante i rapporti personali o il lavoro finirà spesso con lo svanire se riusciremo ad acquisire la consapevolezza della forza del desiderio o dell’ira o della tristezza o dell’amore o di quant’altro alimenta la sua manifestazione. Il fatto, dunque, che la mente cominci a muoversi all’interno di uno di questi schemi ripetitivi, può essere considerato un segnale della necessità di osservare e percepire quello schema stesso con grande profondità, e di raggiungere le radici di ciò che ci tiene tanto in movimento. Ciò, evidentemente, vuol dire guidare la nostra consapevolezza fino ai sentimenti e alle emozioni più profonde del corpo, del cuore e della mente.
Scorgere e quindi accettare i sentimenti e gli stati che generano i nostri particolari schemi e nodi, ci può consentire di fermarci e assestarci con più profondità nel momento presente. Può, anche, portarci maggiore capacità di comprensione e una nuova quiete mentale. Ma, a questo punto, la nostra meditazione ci richiede di guardare ancora più in profondità, di divenire consapevoli, cioè, della fonte stessa di ogni movimento della mente. Che cosa, insomma, fa muovere la mente? E che cosa noi cerchiamo di evitare con tutto questo sperare, progettare, fantasticare e ricordare? Quale dolore, quale solitudine, quale indegnità cerchiamo di sfuggire? Che cosa vogliamo guadagnare, con tutto questo movimento? E qual è la natura della mente desiderante? Più che limitarci a osservare, dobbiamo a questo punto dischiudere, e percepire, e scoprire, strato dopo strato, finché non raggiungiamo il centro stesso del modello che tiene la mente in movimento, e quindi mollare la presa.
Può succedere, ad esempio, che osservando un pensiero particolarmente frequente circa un determinato rapporto personale, ci accorgiamo che esso si manifesta perché ci sentiamo bramosi, perché abbiamo bisogno d’amore. Percepiamo, allora, quella brama che accompagna tutti i pensieri e, per il fatto stesso di accettarli, ci rassereniamo. Guardiamo nel cuore e nella mente: abbiamo bisogno d’amore. Ma c’è ancora molto da osservare: a che cosa è dovuto questo bisogno d’amore? Alcuni di noi potranno rispondere che si sentono incompleti, o che hanno paura di restare soli, o che ci sono alcune parti di loro che essi stessi non riescono ad accettare, e che pertanto desiderano essere rassicurati che tutto è a posto. Sono proprio questi sentimenti che ci tengono in costante movimento, ansiosi di pervenire a qualcosa, separati dal momento presente. Sotto di essi si cela la percezione della realtà della nostra limitatezza e separatezza: eppure noi desideriamo spezzare le sbarre di questa prigione di separatezza e incompletezza. Se dunque ci fermiamo, e silenziosamente guardiamo in volto la paura, il vuoto, la solitudine, tutto il posto che c’è dentro di noi, un nuovo livello di consapevolezza può svilupparsi. Esiste una verità più profonda di questa illusione di separatezza. Se siamo pronti ad aprirci completamente, possiamo raggiungere l’origine stessa del movimento e, in tal modo, essere liberi di partecipare al momento presente in maniera del tutto fresca e originale.
Questo modo di guardare non ha nulla di analitico o di discorsivo: è come trovarsi alla presenza di un grande mistero, e quindi cercare di rendersi immobili, limpidi e assolutamente vigili, al fine di riuscire a vedere fin nelle sue più remote profondità. È proprio la forza di questo livello di pratica, capace di penetrare fino alla radice di ciò che accade, che ci conduce alla libertà. E un sentiero che, attraverso il vuoto e la paura, ci porta a scoprire l’interezza di noi stessi e del mondo.
[ Da: Jack Kornfield, Joseph Goldstein, “Il cuore della saggezza. Esercizi di meditazione“ ]
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– https://en.wikipedia.org/wiki/Jack_Kornfield