Quando abbiamo la concezione della nostra completezza ci troviamo all’unisono con tutto. E allora ci sentiamo completi noi stessi. Seduti o distesi in stato d’immobilità possiamo ricollegarci col nostro corpo, trascenderlo, immedesimarci col respiro, con l’universo, sentirci completi e coinvolti in entità complete sempre più grandi. Il senso dell’interrelazione apporta una profonda conoscenza dell’appartenenza, dell’essere parte integrante delle cose, di sentirci a nostro agio dovunque ci si trovi.
Possiamo assaporare, quasi meravigliati, l’atemporalità che supera la nascita e la morte e, nel contempo, avere coscienza della fuggevole brevità di questa vita e del nostro passaggio, della transitorietà dei legami col nostro corpo, con questo momento e con i nostri simili. Prendendo direttamente atto della nostra completezza durante la pratica meditativa, potremmo trovarci a conciliarci con le cose cosi come stanno, approfondendo comprensione e compassione, alleviando pene e disperazione. Quando ci convinciamo della nostra completezza intrinseca, non vi sono più luoghi dove andare nè cose da fare. Saremo quindi liberi di scegliere il nostro cammino. Che si agisca o meno regnerà la calma. La troveremo nel nostro intimo in ogni momento e mentre la toccheremo, l’assaporeremo, l’ascolteremo, il corpo non potrà che fare altrettanto e lasciar correre. Anche la mente ascolterà, sperimentando almeno un momento di pace. Aperti e ricettivi, troveremo equilibrio e armonia proprio qui; tutto lo spazio compreso in questo luogo, tutti i momenti compresi in questo momento.
(Jon Kabat-Zinn)
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– https://it.wikipedia.org/wiki/Jon_Kabat-Zinn
– https://it.wikipedia.org/wiki/Mindfulness