Consapevolezza del respiro
Si mantenga l’attenzione nitidamente focalizzata sulle sensazioni e sui sentimenti di ogni respiro; si sia presenti assieme al respiro stesso laddove, all’interno del corpo, lo si sente più chiaro e distinto: nell’addome che si solleva e si abbassa, o nei movimenti del torace, o ancora nell’inspirazione e nell’espirazione attraverso le narici. Si osservi con quanta accuratezza e con quanta continuità si riesce a percepire le sensazioni del ciclo completo della respirazione, o dell’intero movimento di sollevamento e abbassamento.
Ci si serva di una delicata annotazione mentale, limitata a ‘alto’ e ‘basso’, o a ‘dentro’ e ‘fuori’, a ogni respiro. Se, poi, tra l’uno e l’altro respiro si ha una pausa, si sia consapevoli di qualche punto di contatto, come ad esempio tra le natiche e il cuscino, o tra le ginocchia e il pavimento, o delle labbra che delicatamente si sfiorano, percependo con estrema accuratezza le particolari sensazioni che in quel punto si manifestano. Se tra l’uno e l’altro respiro la pausa è molto lunga, si può cercare di essere consapevoli di un’intera serie di sensazioni di contatto finché il respiro successivo non venga da solo: senza, pertanto, affrettare o accelerare il processo della respirazione. Quando, poi, sopraggiunge il respiro successivo, si riporti l’attenzione alla respirazione, notando e annotando tale esperienza con la più grande cura.
Si mantenga desta la consapevolezza e la presenza mentale per ogni respiro, per ogni movimento di sollevamento e di abbassamento del torace o dell’addome, o dell’ingresso e dell’uscita dell’aria attraverso le narici. Questa consapevolezza, a sua volta, dovrà essere morbida e rilassata, affinché il respiro possa conservare il suo proprio ritmo. Si percepiscano le sensazioni di ogni respiro con estrema accuratezza, senza attendersi nulla in particolare, ma semplicemente annotando che cosa effettivamente avviene momento dopo momento.
A volte il respiro sarà nitido, e a volte indistinto; a volte forte, e a volte molto fiacco; potrà essere lungo o breve, liscio o scabroso. Ma si sia presenti assieme a esso, così come esso stesso si rivela, consapevoli del modo in cui variamente si modifica.
Annotazione mentale delle sensazioni
Se, eventualmente, qualche suono dovesse diventare preponderante, e distrarre l’attenzione dal respiro, si noti semplicemente ‘ascolto, ascolto’, concentrando l’attenzione e la consapevolezza sulla specifica esperienza del suono, senza lasciarsi coinvolgere dal concetto di ciò che ha provocato il suono stesso, come ‘una macchina’ o ‘il vento’, ma limitandosi a restare assieme alla vibrazione dell’ascolto. Si osservi, a questo punto, se si è in grado di stabilire la differenza tra il concetto del suono e l’esperienza diretta e intuitiva del suono stesso. Si prenda nota dell”ascolto’, e quando quell’esperienza non è più predominante, o non richiama più l’attenzione, si ritorni al respiro.
Spesso potrà accadere che alcuni suoni si manifestino sullo sfondo della propria consapevolezza: ciò vuol dire che, sebbene se ne abbia consapevolezza, essi non riescono a distrarre l’attenzione dal respiro. In quel caso, non c’è nemmeno bisogno di annotare mentalmente l”ascolto’. Ci si limiti a osservare il respiro, lasciando la consapevolezza dei suoni di sfondo là dov’è.
La continuità dell’attenzione e del processo di annotazione mentale rafforza la presenza mentale e la concentrazione: pertanto, con tutta la delicatezza della propria mente, si cerchi di rendere questo sforzo di annotazione il più continuo possibile. Se, poi, si perde coscienza, se ci si distrae, se la mente va raminga, si annoti questo ‘divagare’ non appena se ne è consapevoli, e si torni quindi al respiro.
Quando, invece, sono le sensazioni fisiche a divenire predominanti e a distrarre l’attenzione dal respiro, si concentri tutta la presenza mentale, tutta la propria attenzione su quella particolare sensazione. Si consideri con quanta accuratezza si è in grado di osservare e percepire la qualità della sensazione: si tratta di durezza o di mollezza, di calore o di freddo, di fremito, di formicolio, di bruciore, di stiramento, di irrigidimento? Si percepisca, dunque, di che sensazione si tratta e si annoti con la massima diligenza che cosa succede alla sensazione stessa quando la si osserva. Diviene più forte, diviene più debole, svanisce, si allarga, si rimpicciolisce?
A volte è anche difficile trovare una parola capace di descrivere esattamente una particolare sensazione: non si perda troppo tempo, allora, a pensarci su. Se non si riesce a trovare all’istante la parola giusta, per intuito, basterà annotare mentalmente ‘percezione’, o ‘sensazione’.
Consapevolezza di tutto ciò che si manifesta
Massima importanza ha, poi, la consapevolezza. L’annotazione, in realtà, non è che un sussidio per indirizzare la mente con precisione verso l’oggetto prescelto, al fine di percepire di che sensazione si tratta e di annotare che cosa succede alla sensazione stessa nel momento in cui la si osserva. Si può manifestare, ad esempio, un forte dolore alla schiena o alle ginocchia: la mente, allora, vi si rivolge, ed esso viene percepito come un bruciore; quindi si annota che si tratta di bruciore. Ma, mentre lo si osserva, si può notare che il dolore stesso si fa più forte o più debole, si espande o si restringe in una zona più limitata. A volte, addirittura, può scomparire.
Quando, poi, quella determinata sensazione non è più predominante, si ritorni al moto del respiro: dentro e fuori, oppure in alto e in basso. Si cerchi di realizzare all’interno della propria mente l’equilibrio fra una condizione di morbidezza e di rilassamento, ossia l’assestarsi nell’istante presente, e uno stato di vigilanza e di accuratezza. Si noti con cura e con delicatezza, momento per momento, qualunque oggetto si manifesti, per poi tornare al respiro, che è il proprio oggetto principale, quando più nulla è predominante o capace di distrarre la mente.
Osservazione della mente
Si annotino anche tutte le reazioni mentali alle differenti percezioni. Se, ad esempio, mentre si osservano sensazioni di dolore, si nota una reazione di avversione, o di inquietudine, o di timore, si annotino tutti questi stati mentali e li si osservi con estrema cura, cercando di vedere anche che cosa succede quando li si nota. Quando si nota ‘paura’, o ‘avversione’, o ancora ‘inquietudine’, quei sentimenti si fanno più forti o più deboli, o addirittura scompaiono? Se, d’altra parte, si osservano sensazioni fisiche piacevoli, per le quali si suscita gioia o attaccamento, si noti tutto alla stessa maniera.
Non bisogna, poi, andare in cerca di tanti oggetti diversi. La consapevolezza deve conservarsi semplice, radicata nell’oggetto principale, che è il respiro, e limitarsi ad annotare i diversi oggetti nel momento del loro manifestarsi. L’idea, insomma, è di non aspettarsi nulla di speciale e di non cercare di far accadere nulla di speciale; si tratta, al contrario, di notare che cos’è che effettivamente accade.
Se sono i pensieri a occupare la mente, non appena ci si rende conto di star pensando, si annoti con delicatezza: ‘pensare’, oppure ‘divagare’. A volte ci si accorgerà dei pensieri nel momento stesso in cui questi sorgono, a volte a metà del loro corso. A volte, ancora, la mente non vorrà esserne consapevole finché non saranno compiuti. Si noti, dunque, il momento in cui se ne è divenuti consapevoli, senza per ciò avanzare giudizi o valutazioni. Qualunque sia il punto in cui la mente s’accorge dei pensieri, si noti semplicemente: ‘pensare’, e quindi si ritorni delicatamente al proprio respiro. Non bisogna entrare in guerra o in conflitto con il processo del pensiero; ci si limiti, al contrario, ad annotarlo, in qualunque punto se ne divenga consapevoli.
Allo stesso modo, se la mente viene occupata da immagini o raffigurazioni, si annoti: ‘vedere’; se sono i suoni a divenire predominanti, si annoti: ‘udire’. La consapevolezza dovrà allora scaturire da una condizione di ricettività mentale, per poi tornare ad acquietarsi, morbida e aperta. A mano a mano che si manifestano i diversi oggetti dell’esperienza, ci si dedichi a essi con attenzione e presenza mentale, e si annoti che cosa accade a essi quando li si osserva.
A volte potrà accadere che la mente si confonda per l’eccessivo numero di oggetti, o non riesca a individuare con nitida consapevolezza il punto sul quale focalizzarsi. In tali casi, si annoti quel genere di confusione o di incertezza, e si ritorni quindi all’ancora del respiro. Il respiro è particolarmente utile come oggetto fondamentale della pratica meditativa perché è quasi sempre presente; è possibile, dunque, in ogni occasione, ritornare a esso, stabilirsi in esso, percepirlo, annotarlo. E quando poi la mente si sente imperniata sul respiro, si torni nuovamente ad annotare i diversi oggetti che possono manifestarsi.
Consapevolezza di stati mentali ed emozioni
Nel caso che siano predominanti vari stati mentali o emozioni, è necessario che anch’essi divengano oggetto della propria consapevolezza. Se, infatti, non ci si rende conto del loro manifestarsi, essi agiscono come filtri inconsci della propria esperienza, così che si comincia a vedere ogni cosa attraverso il filtro deformante di una determinata emozione. A volte, queste emozioni nascono assieme a particolari pensieri o immagini, o a specifiche sensazioni fisiche. Può trattarsi di sentimenti di felicità o di tristezza, di frustrazione, di ira, di fastidio, di gioia, di interesse, di eccitazione, di irrequietezza, o di paura: possono determinarsi, insomma, stati mentali dei più diversi generi.
Non appena ci si rende conto che la mente è occupata da uno di questi stati mentali, o emozioni, o umori, lo si annoti in maniera specifica, in modo da non esserne assorbiti e da non identificarsi con esso. Questi stati mentali, del resto, al pari di tutti gli altri oggetti, svaniscono così come si sono manifestati. Non sono l’ ‘io’, né il sé, e non appartengono a nessuno. Si noti, dunque, quel particolare stato mentale, ci si dischiuda alla sua esperienza, e si torni quindi al respiro o alle sensazioni fisiche.
Si sorvegli con cura particolare l’eventuale insorgere dei cosiddetti cinque impedimenti: desiderio, avversione, torpore, irrequietezza, e dubbio. Essi sono profondamente radicati nella mente, ed è dunque facile perdersi in essi e con essi identificarsi. Si faccia, pertanto, uno sforzo del tutto particolare per annotare questi specifici stati mentali: quanto più rapidamente si riuscirà ad osservarli, e quanto più in prossimità del loro inizio, tanto minore sarà la loro forza.
Consapevolezza delle intenzioni
Ma oltre all’attenzione che va dedicata al respiro, alle sensazioni, ai suoni, ai pensieri, alle immagini, alle emozioni, e agli stati mentali, c’è un ulteriore fattore mentale che merita di essere individuato e annotato con cura particolare nell’ambito della pratica meditativa, poiché ha una funzione essenziale nel processo di apertura delle porte della visione profonda. Si tratta del divenire consapevoli delle diverse intenzioni mentali, e della loro conseguente annotazione. L’intenzione è quel fattore o quella qualità mentale che precede immediatamente un’azione o un movimento fisico.
Il corpo, di per sé, non si muoverebbe: se si muove, è in conseguenza di un particolare impulso o di una volizione. In tal modo, prima di avviare qualunque movimento fisico, si annoti l’intenzione di muoversi, l’intenzione di star fermi, l’intenzione di cambiare posizione, l’intenzione di voltarsi, l’intenzione di stendersi, e via dicendo.
Prima di ognuno di questi movimenti, nella propria mente si manifesterà una particolare volizione. L’intenzione, la volizione, è estremamente sottile. Non si tratta, infatti, di un oggetto tangibile e distinto come un pensiero o un’immagine, dei quali si può nitidamente discernere l’inizio, la fase mediana, e la fine. Le prime volte, un’intenzione verrà percepita semplicemente come una pausa prima dell’inizio del movimento, come un attimo di pausa nel quale si avverte che si sta per fare qualcosa. Se si riesce a riconoscere quella pausa e ad annotare: ‘intenzione’, già ci si sarà avvicinati allo scopo.
Cominciare a essere consapevoli di queste intenzioni è importante per due ragioni. La prima è che in questo modo si può illuminare e svelare il rapporto di causa ed effetto che lega fra loro mente e corpo: e questa è una delle leggi fondamentali, capaci di condurre a un più profondo livello di comprensione. Lo sviluppo del processo di mente e corpo avviene secondo leggi rigorose, e una delle leggi che lo regolano è proprio quella di causa ed effetto. Quando annotiamo: ‘intenzione’, si acquisisce una comprensione preliminare del modo in cui quella legge opera: se il corpo si muove, è per un’intenzione. L’intenzione è la causa, il movimento l’effetto. A mano a mano che notiamo questa relazione nell’ambito della nostra esperienza, essa si fa sempre più chiara.
La seconda ragione dell’importanza della consapevolezza delle proprie intenzioni è che il fatto di annotare: ‘intenzione’, ci aiuta a scoprire e a comprendere la mancanza di un sé nel processo di mente e corpo. Anche quando ci dedichiamo all’osservazione del respiro, delle sensazioni, dei pensieri, delle immagini e delle emozioni, infatti, e cominciamo a scorgere che tutti questi oggetti non sono altro che elementi di uno spettacolo fuggevole, possiamo, ciò nonostante, continuare a identificarci con il senso di un autore, di un direttore di tutte queste cose, di colui che comanda le varie azioni.
Ma se si notano le varie intenzioni e ci si avvede del fatto che anch’esse sono fenomeni mentali transitori e che, così come nascono, svaniscono; se ci si avvede del fatto che le intenzioni stesse non sono né ‘io’ né ‘mio’, e che, pertanto, non appartengono a nessuno, ecco che si comincia ad allentare il proprio senso di identificazione con esse e si sperimenta a livelli sempre più profondi la mancanza di un sé nell’intero sviluppo di questo processo.
Meditazione Vipassana in sintesi
Si comincia, dunque, con il respiro, schiudendosi alla sensazione o alla percezione di ciascun respiro, di ciascun movimento di sollevamento e abbassamento, o di ingresso e uscita, senza attendersi nulla di particolare circa il modo in cui un singolo respiro può presentarsi, senza cercare di costringere il respiro stesso in un modello definito, e senza pensare che si dovrà manifestare un qualche genere di sensazione. Si tratta, insomma, di assestarsi nel momento presente, con cura e precisione estreme, e di aprirsi a ciò che all’interno di quel particolare respiro si rivela. Qual è, dunque, la sensazione di questo sollevamento, di questa inspirazione? Che cosa se ne prova? È lunga o breve, è liscia o scabrosa, è profonda o superficiale, e c’è’ pesantezza, o oppressione, o formicolio?
Non bisogna, peraltro, spulciare un’intera lista di controllo: le caratteristiche di ogni respiro saranno di per sé evidenti di fronte a una nostra condizione di apertura e di attenzione premurosa. E sufficiente, dunque, assestarsi e dischiudersi, volgendosi con mente di principiante a ogni sollevamento e a ogni abbassamento, a ogni inspirazione e a ogni espirazione.
Se tra l’uno e l’altro respiro si evidenziasse uno spazio o una pausa, si annoti uno o più punti di contatto sotto l’etichetta: ‘toccare, toccare’. Se diviene predominante una particolare sensazione fisica, capace di distrarre la mente dal respiro, si lasci la mente accompagnarsi a quella sensazione predominante: ci si apra a essa, la si percepisca. Si noti di che genere di sensazione si tratta, se è di caldo o di freddo, di pesantezza o di leggerezza, se è un fremito o un formicolio, una sensazione di dolore o di piacere.
Quando ci si dischiude consapevolmente a ogni sensazione, le caratteristiche della sensazione stessa divengono di per sé evidenti: si conservi, dunque, la propria mente in uno stato di estrema ricettività verso tutte le sensazioni, e si noti che cosa succede quando le si osserva. Diventano più forti o più deboli? Scompaiono o si accrescono? Si osservi ciò che succede, senza un modello prestabilito e senza attendersi qualcosa: si permanga, semplicemente, con quello che c’è. Poi, quando quella determinata sensazione non è più predominante, si torni nuovamente al respiro.
Si conservi, inoltre, la mente particolarmente vigile verso i diversi fenomeni mentali, annotando: ‘pensare’, o ‘vedere’ non appena ci si rende conto che un pensiero o un’immagine si sta manifestando. Si osservi, quindi, che cosa succede a quel pensiero o a quell’immagine quando li si annota. Continuano o scompaiono? E se scompaiono, scompaiono rapidamente o con lentezza? Quando il pensiero o l’immagine non sarà più predominante, si tornerà alla consapevolezza del respiro. Si mantenga sempre fluido, ritmico e rilassato questo movimento da oggetto a oggetto. Non bisogna nemmeno andare in cerca di qualche oggetto specifico; si conservi, piuttosto, una condizione di apertura e vigilanza, in modo che qualunque cosa si manifesti, divenga l’oggetto della propria consapevolezza, e si lasci, allo stesso modo, nascere e svanire da sé ogni oggetto fisico e mentale. La pratica consiste semplicemente nell’assestarsi e nel notare, momento per momento, che cosa si manifesta, senza giudizi, senza valutazioni, e senza interpretazioni. È pura e semplice attenzione a ciò che accade.
Si mantenga la medesima presenza mentale anche nei riguardi dei vari stati mentali o delle varie emozioni. Questi stati mentali, peraltro, vengono definiti come oggetti solo con minore chiarezza; non posseggono, infatti, un chiaro inizio, una parte mediana, e una fine, anche se possono trasformarsi in oggetti della propria esperienza assolutamente predominanti. Se, dunque, uno di questi stati mentali, o un’emozione, o un umore, come ad esempio i sentimenti di tristezza o di felicità, di ira o di desiderio, di irrequietezza o di eccitazione, di interesse o di rapimento, di gioia o di quiete, diviene particolarmente forte, si annoti mentalmente quel medesimo stato d’animo, lo si percepisca, e si individui in che modo fa anch’esso parte del solito fuggevole spettacolo: nasce, sta lì per un po’ di tempo, quindi svanisce.
Si usi il respiro come strumento principale, si resti con esso se non si manifesta null’altro in modo predominante, e si torni quindi a esso quando gli altri oggetti comunque scompaiono. Inoltre, se la mente si sente dispersa o confusa, e non sa esattamente che cosa osservare, si concentri la propria attenzione sul respiro: o sui movimenti di sollevamento e di abbassamento, o su quelli di ingresso e di uscita. Quando, poi, la mente si sente più stabile e concentrata, ci si schiuda nuovamente alla consapevolezza dell’intera e mutevole sfera di oggetti: il respiro, i suoni, le sensazioni, i pensieri, le immagini, le intenzioni, le emozioni, annotandoli uno dopo l’altro a mano a mano che si manifestano. Si mantenga la mente sempre aperta, ricettiva e vigile, in modo che, momento per momento, si possa essere accuratamente consapevoli di ciò che è presente.
[Da: Il cuore della saggezza. Esercizi di meditazione – Joseph Goldstein, Jack Kornfield (amazon)]