All’inizio la pratica può essere molto noiosa; ci si sente disperatamente impacciati, come un chitarrista alle prime armi. Quando si comincia a suonare le dita sono goffe; sembra un’impresa impossibile, ma poi, con l’esercizio, ci si impratichisce e diventa facile. Ora state imparando a essere testimoni di quello che accade nella vostra mente, così potete sapere quando state diventando irrequieti e tesi, ostili a tutto, e ne prendete atto, non cercate di convincervi che non sia così. Siete pienamente consapevoli di come stanno le cose: che fare quando siete preoccupati, tesi e nervosi? Rilassarsi.
Nei miei primi anni con Ajahn Chah a volte prendevo la meditazione terribilmente sul serio, e mi trattavo con una severità e una prosopopea davvero eccessive. Perdevo del tutto il senso dell’umorismo e diventavo mortalmente serio, rigido come un palo. Mi sforzavo parecchio, ma era così stressante e spiacevole pensare sempre “devo farcela… sono troppo pigro”. Mi sentivo orribilmente in colpa se non meditavo continuamente – uno stato d’animo cupo, senza gioia. Allora cominciai a osservare questo, meditando sul mio essere rigido come un palo di legno. Quando la situazione diventava insostenibile, mi ricordavo degli atteggiamenti opposti: “Non sei tenuto a fare nulla. Non devi arrivare da nessuna parte, non c’è niente da fare. Stai in pace con le cose così come sono. adesso, rilassati, lascia andare”. Mi aiutavo così.
Quando la mente cade in questo stato, applicate l’opposto, imparate a prendere le cose come vengono. Capita di leggere libri “lasciare che tutto accada spontaneamente”; allora si è portati a credere che basti starsene con le mani in mano. Il risultato di solito è scivolare in uno stato mentale di torpore, di passività. Allora è il momento di metterci un tantino di sforzo in più.
Nella pratica di anapanasati si può sostenere lo sforzo per la durata di un’inspirazione. E se non ci riuscite per un’intera inspirazione, fatelo almeno per la metà. In questo modo, non cercate di diventare perfetti in un colpo solo. Non occorre fare le cose per benino in ossequio a un’idea di come potrebbe essere; si lavora con i problemi così come si presentano. Se però avete una mente distratta, è saggio riconoscere che la mente se ne va per i fatti suoi: questa è visione profonda. Invece, pensare che non dovreste essere distratti, odiarvi o scoraggiarvi perché di fatto è quello che vi capita, è ignoranza.
Nell’anapanasati si prende atto di come stanno le cose al momento e si parte da lì; si sostiene l’attenzione un po’ più a lungo e si comincia a capire che cos’è la concentrazione: prendere risoluzioni a cui si è in grado di tener fede. Non prendete risoluzioni da superuomini quando non siete tali. Praticate anapanasati per dieci minuti o un quarto d’ora invece di credere di poter tirare avanti tutta la notte: “Praticherò anapanasati fino all’alba”. Poi non ci riuscite e vi arrabbiate. Fissate i tempi della seduta in base alle vostre possibilità. Sperimentate, lavorate con la vostra mente finché non capirete come sforzarvi, come rilassarvi.
L’anapanasati è una via diretta. Vi porta alla visione profonda, alla vipassana. La natura impermanente del respiro non è vostra, no? Essendo nato, il corpo respira spontaneamente. Inspirazione ed espirazione: l’una condiziona l’altra. Finché il corpo vivrà sarà così. Non avete controllo su nulla, il respiro appartiene alla natura, non appartiene a voi, è non-io. Osservare tutto ciò è vipassana, visione profonda. Non è nulla di eccitante o di affascinante o di spiacevole. È naturale.
[ Da: Achaan Sumedho, Lasciar andare il fuoco. Gli insegnamenti di un monaco buddhista ]
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– Achaan Sumedho (macrolibrarsi)
– https://it.wikipedia.org/wiki/Ajahn_Sumedho