Sri Ramakrishna, il cui nome di famiglia è Gadadhar Chatterjee, nacque nel 1836 nel villaggio di Kámarpukur, a circa 100 Km da Calcutta. I suoi genitori, Khudiram e Candramani, erano molto poveri e riuscivano a stento a sbarcare il lunario. Essi trascorrevano gran parte del loro tempo in adorazione di Raghuvir, la divinità familiare che consideravano loro patrono e protettore.
Nel villaggio, Gadadhar era particolarmente benvoluto. Bello e naturalmente dotato per le belle arti, non aveva però alcuna propensione per la scuola. Se qualcuno gliene chiedeva la ragione egli rispondeva: «la cosiddetta istruzione ha in vista soltanto i soldi; questo tipo di istruzione non mi interessa affatto.» Amava la natura e trascorreva il suo tempo con gli amici nei campi e nei frutteti del villaggio. Andava spesso in estasi: una fila di candide gru in volo sullo sfondo delle cupe nubi monsoniche, il canto di inni devozionali o la recita in una rappresentazione religiosa potevano facilmente mandarlo in estasi.
Gadadhar rimase orfano del padre a sette anni; tale evento lo rese più serio ma non ebbe il potere di fargli cambiare modi e abitudini. Infatti, continuò a rifiutare la scuola preferendo andare dai monaci che sostavano nel villaggio durante il loro viaggio verso Puri. Egli si adoperava per servirli e seguiva, completamente dimentico di sé, le dispute che spesso sorgevano tra loro su questioni religiose.
Gadadhar aveva ormai raggiunto l’età per ricevere l’investitura del sacro cordone brahmanico; i preparativi erano quasi ultimati quando egli dichiarò che era sua intenzione ricevere la rituale prima elemosina (bhiksá) da una certa donna sudra del villaggio. Una cosa simile non si era mai sentita; la tradizione prescriveva che a dargli la prima elemosina fosse una donna bráhmana e non una sudra. Questo gli venne fatto notare ma egli fu irremovibile. Disse che aveva dato la sua parola a quella donna e che se non l’avesse mantenuta sarebbe stato un atto indegno di un brahmana. Non ci furono ragioni, preghiere o pianti in grado di farlo desistere da tale proposito. Ramkumar, fratello maggiore e, dalla morte del padre, capofamiglia dovette alla fine rassegnarsi.
Intanto le condizioni economiche della famiglia continuavano a peggiorare. Rarnkumar dirigeva una scuola di sanscrito a Calcutta e svolgeva anche funzioni di sacerdote presso alcune famiglie Ciò che riusciva a mettere insieme era davvero poco e non gli era possibile inviare con regolarità del denaro alla famiglia. Pertanto, decise di far venire Gadadhar a Calcutta. Il suo intento era quello di fargli studiare il sanscrito; inoltre, avrebbe forse potuto svolgere qualche servizio religioso tramite cui racimolare del denaro per sé. Gadadhar arrivò presso il fratello ma fece subito presente che non avrebbe studiato; accettava però di buon grado di svolgere servizi religiosi, e questo non per denaro ma per la gioia che ne derivava.
Nello stesso tempo, una ricca signora di Calcutta, Rani Rashmoni, fece costruire un tempio a Dakshinesvar dedicato alla Dea Káli. Ella si rivolse a Rarnkumar chiedendogli di prestare servizio in qualità di sacerdote del tempio ed egli accettò. Gadadhar si lasciò persuadere a decorare la divinità. Più tardi, quando Ramkumar si ritirò, Gadadhar ne prese il posto.
Quando Gadadhar iniziò ad adorare la Dea si domandò se stesse adorando una pietra o una Divinità vivente. Se l’adorazione era rivolta a una Dea vivente perché mai ella non rispondeva alle sue invocazioni? Tale domanda lo perseguitava giorno e notte; infine, egli si rivolse direttamente alla Dea Káli in preghiera: «Madre, in passato tu sei stata benevola verso molti dei tuoi devoti e ti sei rivelata a loro. Perché non vuoi rivelarti anche a me? Non sono forse anch’io tuo figlio?» Durante l’adorazione era spesso in lacrime e talvolta dava libero sfogo alla sua amarezza con alte grida. Si inoltrava nella vicina foresta e vi passava l’intera notte in preghiera. Un giorno, non potendo più sopportare di non vedere la Madre Káli, decise di porre fine ai suoi giorni. Afferrò una spada appesa al muro e stava per colpirsi quando vide onde di luce che provenivano dalla divinità; la luce lo investi e lo sommerse ed egli, perduta coscienza di sé, cadde a terra svenuto.
Ma Gadadhar non si accontentò di questo. Cominciò a pregare la Madre Kàli per ottenere altre esperienze spirituali. Egli voleva sapere in modo particolare quali verità insegnassero le altre religioni. Così, inspiegabilmente, istruttori di quelle religioni apparvero nei momenti più opportuni come se fossero guidati da qualche potere invisibile e, cosa ancora più sorprendente, egli assimilò in brevissimo tempo il significato di quelle esperienze.
Ben presto si sparse la voce circa quest’essere straordinario, conosciuto oramai come Ramakrishna Paramahamsa che, come una calamita, attirava a sé sinceri ricercatori di ogni ceto sociale e di ogni fede.
Il suo insegnamento si protrasse per circa 15 anni durante i quali insegnò, tramite parabole, metafore, canti e soprattutto con l’esempio della sua vita, le verità fondamentali della spiritualità. Alla sua morte, avvenuta nel 1886, egli lasciò un gruppo di giovani e devoti discepoli con alla testa il famoso studioso e oratore Svámi Vivekánanda.
Che cosa ha insegnato Ramakrishna?
l. Ramakrishna non insegnò né credi né dogmi. Il suo solo pensiero era l’elevazione degli uomini. Secondo lui, c’è nell’uomo un enorme potenziale etico e spirituale ed è suo preciso e principale dovere attuarlo in vita. Egli insegnò all’uomo a lottare per attuare quel potenziale senza perdere tempo dietro ai piaceri sensoriali o in dispute religiose.
2. Le religioni sono altrettanti sentieri che conducono alla stessa meta, vale a dire, al Divino. L’uomo raggiunge il fine spirituale quando consegue il più elevato sviluppo etico.
3. Il Divino è sia personale che impersonale. Poiché all’inizio è difficile concepire una Divinità impersonale, è necessario concepirla come Persona. C’è qualcuno che sia in grado di pensare al colore bianco senza pensare a un oggetto bianco? Si può guardare il sole al suo sorgere, ma non il sole di mezzogiorno. Così, quando il Divino si manifesta come una Persona possiamo sapere qual è il suo aspetto, altrimenti Esso è impersonale e, come tale, oltre il pensiero e le parole.
4. Sii nel mondo ma non del mondo. Svolgi i tuoi doveri al meglio ma non contare troppo sui frutti delle tue azioni; offrili Piuttosto a Dio e cerca di sentire che sei solo uno strumento nelle Sue mani.
5. La spiritualità è un’esperienza. La spiritualità non ha senso se le verità che contiene non vengono sperimentate. La tua sete sarà mai soddisfatta se non bevi quando hai sete?
6. Il Divino è ovunque ma si manifesta soprattutto nell’uomo. Quindi, renditi disponibile a servire l’uomo perché ciò equivale ad adorare il Divino.
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– Sri RamaKrishna (macrolibrarsi)
– https://it.wikipedia.org/wiki/Ramakrishna
– Da: ramakrishna-math.org