Una cosa e’ aver avuto esperienza del Se’, ben altra è la Realizzazione.
«Durante un’altra visita (da R. Maharshi), portai con me un pir musulmano che avevo conosciuto a Madras. Quando era docente a Baghdad, aveva avuto un risveglio interiore e si era dato alla vita religiosa. Era venuto in India perché aveva improvvisamente sentito l’urgenza di andare a conoscere dei santi induisti per vedere in quale stato erano immersi. Lo incoraggiai a venire con me durante una delle mie visite perché non riuscivo a immaginare un migliore esempio di santo induista. A Tiruvannamalai sedemmo per un po’ di tempo insieme nella sala, a guardare il Maharshi. A un certo punto il pir si alzò, lo salutò e uscì. Quando riuscii a raggiungerlo e gli chiesi perché se ne fosse andato all’improvviso, mi disse: “Ho sentito il profumo di questo fiore nel giardino dell’induismo. Non ho bisogno di annusarne altri. Ora sono soddisfatto e posso tornare a Baghdad”.
Quell’uomo era un jnani (saggio che vive nel momento presente – ndr) e, in quei pochi minuti con il Maharshi, fu in grado di capire che lo sbocciare del jnana tra gli induisti non era diverso dai più elevati livelli di esperienza raggiunti dai santi islamici.
Persone illuminate come quella sono molto rare. Negli ultimi quarant’anni ho incontrato migliaia di sadhu, swami, guru e via dicendo. Sono stato ai kumbha mela, dove si recano milioni di pellegrini; sono stato in molti grandi ashram dell’India; sono andato in giro per l’Himalaya a visitare molti eremiti appartati; ho conosciuto yogi con grandi siddhi, uomini che riuscivano veramente a volare. Ma, in tutti gli anni passati dal momento della mia realizzazione, ho incontrato soltanto due uomini, a parte il Maharshi, che mi hanno convinto di aver raggiunto la piena e completa realizzazione. Quel pir musulmano era uno dei due. L’altro era un sadhu relativamente sconosciuto che incontrai sul ciglio di una strada del Karnataka.
Stavo aspettando la corriera in un luogo isolato nei pressi di Krishnagiri, una cittadina che si trova a metà strada tra Tiruvannamalai e Bangalore. Mi si avvicinò un uomo dall’aspetto estremamente losco. Indossava vestiti stracciati, sudici, e sulle gambe aveva delle ferite aperte che aveva trascurato per così tanto tempo da essere infestate dai vermi. Chiacchierammo per un po’ e io mi offrii di togliergli i vermi dalle ferite e di dargli qualche medicina per farle rimarginare. Non aveva alcun interesse a essere assistito da me. “Lascia i vermi dove sono”, disse. “Stanno gustando il loro pasto”.
Sentendo che non potevo lasciarlo in quelle miserabili condizioni, strappai un lembo dello scialle che indossavo e glielo legai attorno alla gamba in modo che potesse avere almeno un bendaggio pulito. Ci salutammo e lui si inoltrò nella vicina foresta.
Avevo riconosciuto in quell’uomo un jnani e mi chiedevo inutilmente quale strano karma lo avesse portato a trascurare in quel modo il corpo, quando mi si avvicinò una donna che era andata a vendere iddly e dosa in un negozietto vicino alla strada.
“Sei un uomo molto fortunato”, disse la donna. “Quello era un vero mahatma. Vive in quella foresta, ma non si fa vedere quasi mai. C’è gente che viene da Bangalore per avere il suo darshan, ma lui fa in modo che nessuno lo trovi mai, a meno che non sia egli stesso a volerlo vedere. Io rimango seduta qui per tutta la giornata, ma questa è la prima volta che lo vedo in più di un anno. È la prima volta che lo vedo avvicinarsi e cominciare a parlare a una persona mai conosciuta prima”.
Mi sono un po’ dilungato a raccontare la storia del jnani vestito di stracci perché lui e il pir musulmano illustrano un paio di punti che vorrei evidenziare. Al primo punto ho già accennato. Sebbene molte persone abbiano avuto una temporanea esperienza diretta del Sé, la realizzazione totale e permanente è un evento raro. Lo dico per esperienza diretta, avendo visto – in maniera quasi letterale – milioni di persone che si trovano a percorrere qualche sentiero spirituale. Anche il secondo punto è interessante perché attribuisce un grande merito al Maharshi. Di queste persone, le uniche tre fra quelle incontrate dopo la mia realizzazione che mi abbiano convinto del fatto che erano jnani, soltanto il Maharshi si rendeva disponibile ventiquattro ore al giorno a chiunque volesse vederlo. Il sadhu di Krishnagiri si nascondeva nella foresta; il pir musulmano, quando stava a casa mia a Madras, si chiudeva a chiave e rifiutava di incontrare i visitatori che volevano vederlo. Dei tre, era facile trovare e avvicinare soltanto il Maharshi. Le mie prime visite lo dimostrano. Sarebbe potuto rimanere in silenzio durante le prime due visite pomeridiane, lasciando che l’assistente mi mandasse via. Invece, avvertendo che avevo un problema urgente, mi permise di entrare e di parlare delle cose che mi disturbavano. A nessuno veniva negato l’accesso perché ritenuto immaturo o poco idoneo. I visitatori e i devoti potevano sedere in sua presenza per tutto il tempo che volevano, ognuno assorbendo tutta la grazia che riusciva ad assimilare. Grazie al suo solo jnana, il Maharshi torreggiava come un gigante dello spirito. Rendendosi continuamente disponibile, lo splendore della sua grandezza brillava ancora di più.»
(Da: Poonja – Dialoghi con il Maestro)
– Sri Hariwansh Lal Poonja (macrolibrarsi)
– Hariwansh L. Poonja (amazon)
– https://it.wikipedia.org/wiki/H.W.L._Poonja
Commento
L’accettazione di se stessi, l’arrendersi alla vita, l’accogliere la vita nella totalita’ delle sue manifestazioni e’ gia’ “liberazione” ed e’ il sentiero che la maggior parte degli uomini percorrono, e’ l’apertura del cuore (upaya-metodo), il dimorare in quella forma di non-dualita’ assoluta di maestri come Poonja e’ un evento piu’ raro.
Questi sono chiarimenti preziosi onde evitare inutili sofferenze e la creazione dell’ostacolo della “meta da raggiungere” alla maggior parte delle persone. L’apertura del Cuore e’ priva di aspettative, l’illuminazione “accade” e non puo’ essere cercata. L’imperfetta illuminazione esiste e non solo nella letteratura antica di ogni tradizione, vi invito a riflettere su questo.