La scala che sale al cielo come simbolo di progresso spirituale ha una antica origine. Ebrei, greci e cristiani hanno tutti assegnato uno speciale valore a ciò che sta sopra, e la moralità occidentale, la cui bussola è fortemente attratta dallo spirito, tende a situare tutte le cose migliori in alto e le peggiori in basso.
Con l’Ottocento, la crescita poteva dirsi definitivamente irretita in questa fantasia ascensionale. La teoria di Darwin per cui l’uomo «discende» dalla scimmia è diventata, nella nostra testa, l’« ascesa» dell’uomo. Ogni povero emigrante poteva salire nella scala sociale così come i palazzi con i loro ascensori salivano ai piani più alti, e più costosi. La lavorazione industriale di materie prime del sottosuolo (carbone, ferro, rame, petrolio) faceva salire il valore economico delle materie stesse, nonché il potere economico di chi le possedeva, semplicemente con lo spostamento da sotto a sopra.
E oggi, l’idea della crescita verso l’alto è ormai diventata un luogo comune biografico. Essere adulti è essere grandi, avere raggiunto l’altezza definitiva.
Questo, però, è solo uno dei modi in cui si può parlare della maturità, il modo eroico. Le piante infatti, dalla piantina di pomodoro all’albero più elevato, mentre si innalzano verso la luce, affondano e ramificano sempre più le loro radici. Ciò nonostante, le metafore che usiamo per le nostre vite vedono quasi esclusivamente la parte aerea della crescita dell’organismo.
Sorge il dubbio che nel modello ascensionale ci sia qualche importante omissione. Di norma, veniamo al mondo con la testa in avanti, come se ci tuffassimo nello stagno dell’umanità. E nella testa c’è un punto molle, attraverso il quale, secondo la tradizione del simbolismo del corpo, l’anima del neonato continua a ricevere l’influsso delle sue origini. Il lento processo di chiusura della fontanella, il suo indurirsi in un cranio ermeticamente sigillato, segna la separazione da un invisibile aldilà e il definitivo arrivo quaggiù.
Ci vuole un po’ a discendere. E un bel pezzo di vita prima di reggersi in piedi. L’enorme difficoltà che il bambino piccolo mostra nel calarsi nel mondo, la forza con la quale si aggrappa al nostro dito, la sua paura, la fatica di adattarsi, il suo spaesamento di fronte alle piccole cose della terra ci dimostrano quotidianamente come sia difficile crescere, cioè discendere.
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Sistemi simbolici come il ciclo zodiacale, nell’astrologia occidentale come in quella cinese, partono dalla testa; il segno più raffinato, più sottile viene per ultimo ed è, rispettivamente, quello dei Pesci e quello del Maiale, il cui luogo simbolico nel corpo umano corrisponde ai piedi. I piedi, si direbbe, arrivano per ultimi. E sono i primi ad andarsene, se seguiamo, per esempio, la lenta morte di Socrate. Il veleno della cicuta incominciò ad agire dai piedi, togliendo loro sensibilità e calore, come se Socrate venisse tirato per i piedi via da questo mondo.
Riuscire a stare con i piedi per terra: è la conquista ultima, una fase evolutiva molto più tarda rispetto a qualcosa che ha avuto origine nella testa.
Non stupisce che i devoti di Buddha nello Sri Lanka venerino le impronte dei suoi piedi: sono la prova che egli è stato davvero sulla terra, che davvero vi è disceso e cresciuto. Il Buddha aveva iniziato presto a scendere nella vita, abbandonando i giardini protetti del palazzo paterno per la strada, dove i malati, i morti, i poveri, i vecchi richiamarono la sua anima alla domanda di fondo: come vivere la vita sulla terra.
Le storie ben note di Socrate e di Buddha e le immagini dell’astrologia imprimono un’altra direzione e conferiscono un altro valore al «giù». Noi di solito lo usiamo in locuzioni come «giù di corda», «sentirsi giù». Quando è pressata a salire da considerazioni di carriera, l’anima non può che trascinarsi gravata da dubbi e da ripensamenti, se non da sintomi.
Quanti ragazzi promettenti, all’università, scoprono all’improvviso che il loro motore va giù di giri, non ce la fanno a tenersi nella corsia veloce, vogliono scendere. Oppure l’alcol, la droga, la depressione si insediano come le Furie.
Finché la cultura non riconoscerà che crescere è discendere, tutti i suoi membri si troveranno ad annaspare alla cieca per dare un senso agli obnubilamenti e alle disperazioni di cui l’anima ha bisogno per penetrare nello spessore della vita.
(Da: “Il codice dell’anima”, James Hillman)
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