[ … Precede … ] Altri giorni furono impiegati in occupazioni più utili: consultare i libri e interrogare alcuni lama eruditi. Mi recai anche in un monastero ngagpa in aperta campagna a poca distanza da Labrang. I ngagpa, gli “uomini dalle parole segrete” sono maghi, eredi degli sciamani bön che, prima dell’introduzione del buddhismo in Tibet, svolgevano il ruolo che oggi spetta ai lama. Privati del loro potere, gli sciamani bön si sono presi la rivincita grazie alla superstizione innata nei loro avversari. La cosa è avvenuta naturalmente senza la minima strategia cosciente da parte degli sconfitti.
Il buddhismo predicato in Tibet dai missionari indiani, nell’VIII secolo e in quelli successivi, era molto lontano dal buddhismo originale. Conteneva, accanto a sviluppi filosofici di pregio risalenti alla dottrina primitiva, una quantità di teorie e riti presi a prestito dal sistema religioso, detto tantrico, che dominava allora e domina ancora in India e in Nepal.
In questa sede non pretendo di affrontare l’esame delle oscure origini del tantrismo: basterà dire che questo indirizzo religioso comprende pratiche provenienti dalle più grossolane, o addirittura abiette e ripugnanti, superstizioni: riti magici, metodi di esercizio psichico e teorie filosofiche di valore molto variabile. Gli elementi del sistema tantrico si trovano anche fuori dell’India. Teorie e pratiche analoghe a quelle introdotte in Tibet dai missionari indiani erano già presenti tra gli sciamani bön. Nulla si opponeva a una fusione tra la religione d’importazione e quella indigena. In effetti, molti riti e credenze bön sopravvissero sotto altro nome, nel buddhismo tibetano, mentre i seguaci del bön incorporavano nella loro religione un gran numero di elementi buddhisti.
E così, sotto il nome di ngagpa, sono stati assorbiti veri e propri sciamani nel clero lamaista. Vi occupano un posto distinto, in margine al clero regolare, e il loro ruolo consiste principalmente nel comunicare con i demoni.
Ci sono gruppi indipendenti di ngagpa che hanno i templi dove si riuniscono in periodi prestabiliti e che passano il resto del tempo in famiglia (si possono sposare). Altri ngagpa non fanno parte di nessun gruppo, sono iniziati dal maestro di una setta e praticano, in isolamento, i riti che hanno imparato, per beneficio personale o, più sovente, retribuiti dalle persone che vorrebbero allontanare i guai o con l’intento meno innocente di nuocere a un nemico o con l’intento di farlo morire. La cosiddetta magia nera rientra nell’ambito dei ngagpa e anche se non tutti la praticano, tutti la conoscono.
Alcuni grandi monasteri lamaisti della setta dei “berretti gialli” hanno ritenuto utile prendere come soci, fuori dalle loro mura, alcuni ngagpa che intrattengano, in vece loro, una relazione costante con gli spiriti maligni. Alcuni riti consistono non tanto nel domare questi demoni, ma nel pacificarli e poiché è un culto proibito ai religiosi dei “berretti gialli”, questi hanno trovato un modo discreto per ripararsi dai maligni dell’altro mondo facendoli omaggiare dai ngagpa con offerte in cibo. Così si allontanano dal monastero incidenti e malattie e la prosperità sua e dei suoi membri è assicurata.
In cambio di questi servizi, i ngagpa del tempio adiacente al monastero ricevono una sovvenzione.
Il tempio di Labrang era di dimensioni considerevoli e molto ben tenuto.
Gli affreschi sulle pareti rappresentavano i soggetti lugubri e pittoreschi che si ritrovano in tutti gli edifici dedicati alle divinità terribili. Queste sono per lo più ex demoni convertiti o soggiogati con violenza da qualche santo mago che li ha poi costretti a impiegare la loro forza nella difesa della religione lamaista e dei suoi fedeli. Eppure si dice che alcune grandi personalità mistiche rivestano talvolta un aspetto terrificante e demoniaco per terrorizzare e castigare gli esseri malvagi.
Intorno a queste figure misteriose del pantheon tibetano, l’artista aveva riunito, nei suoi affreschi, un’infinità di esseri contorti, maschi e femmine, che scorticavano uomini sfortunati, tirandogli via le budella, pascendosi del cuore o dedicandosi ad altre attività altrettanto “divertenti”. I tibetani sono peraltro abituati a raffigurazioni di questo tipo: abbondano nel loro paese e se si escludono gli eruditi, iniziati al loro significato simbolico, nessuno vi presta attenzione.
I ngagpa sono spesso cordiali, privi della tracotanza dei loro confratelli maghi nel clero regolare, escludendo coloro cui si attribuiscono grandi poteri soprannaturali e che godono di un’alta reputazione. La semplicità di comportamento di molti ngagpa dipende probabilmente dal fatto che la loro situazione nel mondo ecclesiastico è di gran lunga inferiore a quella dei monaci di un monastero lamaista. Ma ne ho anche incontrati alcuni la cui cortesia proveniva da una forma di scetticismo che impediva loro di prendere le cose troppo sul serio. Erano animati da una universale benevolenza, un po’ pietosa, un po’ ironica e molto distante, che distribuivano a tutti e a tutto, senza dimenticare sé stessi.
Fui ricevuta con estrema cortesia dai ngagpa di Labrang. Passai qualche ora a discorrere con loro sorseggiando tè, poi ritornai alla mia locanda.
L’indomani mattina, all’alba, mi rimisi in cammino. [ … ]
Molti pensano che un viaggiatore che si inoltri in strade poco battute abbia la sua razione di avventure, leggiadre o drammatiche, ma sempre eccitanti. La realtà è meno romantica. La maggior parte dei giorni trascorre senza che succeda nulla di memorabile. Monotonia, allora? Direi di no. Per colui che sa guardare e sentire, ogni minuto di questa vita libera e vagabonda è un incanto. D’altronde, il viaggiatore è solitamente occupato da un lavoro speciale: ragione o semplicemente pretesto delle sue peregrinazioni. Uno è geografo, l’altro naturalista, io raccoglievo le manifestazioni del pensiero umano, cercando di penetrare il mistero del mondo e di calmare la paura davanti alla sofferenza e alla morte. Filosofie, religioni elette o puerili, sfacciataggini dei maghi, astuzie degli stregoni, estasi dei mistici, era questo l’ambito di ricerca che frugavo con assiduità e pazienza, spigolando qua e là i fatti di cui avevo bisogno. Vi assicuro che anche nei giorni in cui non “accadeva niente” non ero affatto inoperosa. [ … ]
– Diario di viaggio – Alexandra David-Néel (I Parte)
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– Alexandra David-Néel (amazon)
– Alexandra David-Néel (macrolibrarsi)
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