“Essere dove si è davvero è una forma di resa a quel che succede. E la resa è una consapevolezza che comprende la nostra esperienza, qualche che sia. Se provo qualcosa e capisco che non mi piace, abbraccio sia la sensazione sia il fatto che non mi piace. Non prendo la posizione secondo cui non dovrei reagire negativamente. […]
Da quanto detto finora potete constatare che la vera Natura non fa nulla. Non forza e non trattiere niente. Si rilassa, non compie sforzi, è presente con consapevolezza, abbraccia l’immediatezza della sensazione e percepisce l’esperienza. Questo è il significato della resa. […] La resa consiste semplicemente nel non agire. Non significa non fare rispetto a quanto sorge nella nostra esperienza, ma non manipolare noi stessi e l’esperienza.
A volte, dopo aver forzato, trattenuto, resistito e controllato, e a un certo punto aver smesso di farlo, questa transizione potrebbe apparirci come una resa. Se dopo esserci trattenuti o aver conservato un rigido processo mentale, lo riconosciamo e smettiamo di farlo, allora ci sarà resa. […]
Essere dove si è vuol dire non manomettere la propria esperienza, non interferire con essa, non dirle di no, non cercare di afferrarla. Non dire nulla su di essa: nessun commento! Significa invece osservarla, accoglierla, essere con lei. […]
La vera Natura è uno scienziato puro, che ricerca. Cosa fa uno scienziato puro? Esplora per scoprire la verità di una situazione. Sa che, mentre esplora qualcosa, non deve interferire con l’esperimento, non aggiungere né togliere nulla, non manometterlo in nessun modo. Vuole conoscere quello che sta studiando così com’è, nella sua condizione nuda, essenziale. Non desidera nulla da esso, vuole solo osservarlo per scoprire la verità di ciò che è. […]
Eppure, in qualsiasi modo interferiamo […]. Fare di tutto affinché l’esperienza, attimo dopo attimo, differisca da quel che è significa credere di essere Dio, ossia sapere come dovrebbero essere le cose.
Così, potreste pensare: “Adesso mediterò per provare la pura pace“. Ma chi ha detto che la pace debba giungere? “E poi mi calerò nella consapevolezza primordiale”. Chi ha detto che ciò debba accadere?
Notate l’arroganza di questo modo di pensare? E comunque, chi dice queste cose? Ecco perché nel nostro lavoro diciamo: “Non so cosa accadrà dopo, nella mia esperienza; non dipende da me”, Questa è l’umiltà necessaria affinché la vera Natura indirizzi la nostra esperienza verso la condizione che vuol far emergere […]. Potrebbe essere la consapevolezza primordiale, la pace, ma anche la gelosia, la fame, addirittura la morte. Non lo sappiamo.
Perciò […] possiamo sempre praticare la presenza, essendo consapevoli di quel che sta avvenendo nell’esperienza, senza interferire. […] Più siamo consapevoli e più noteremo l’interferenza; più vediamo l’interferenza e maggiori saranno le possibilità di smettere, di desistere, di non continuare a intervenire.
Se quindi vi sorprendete a interferire, non significa che state facendo qualcosa di sbagliato. […]
Ricordate che smettere di interferire non significa fare qualcosa per smettere. Di solito, essere consapevoli di intromettersi e osservare cosa produce la manipolazione, è sufficiente per smettere di farlo. Non avrete la sensazione di adoperarvi per tarlo: cesserà da sé”.
– Da: La pratica della presenza – A. H. Almaas
– A. H. Almaas – Macrolibrarsi
– A. H. Almaas – Amazon
– Fonte