Simone Adolphine Weil (Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943) è stata una filosofa, mistica e scrittrice francese, la cui fama è legata, oltre che alla vasta produzione saggistico-letteraria, alle drammatiche vicende esistenziali che attraversò. Segue una breve selezione di pensieri in linea con i suoi convincimenti.
L’abbandono in cui Dio ci lascia è il suo modo di accarezzarci. Il tempo, che è la nostra unica miseria, è il tocco stesso della sua mano. E’ l’abdicazione mediante la quale ci fa esistere. Egli resta lontano da noi, perché se si avvicinasse ci farebbe sparire. (Quaderni IV 179)
Se si ha fame, si mangia, non per amore di Dio, ma perché si ha fame.
Se uno sconosciuto prostrato ai bordi della strada ha fame, bisogna dargli da mangiare, anche se non ne avesse abbastanza per sé, non per amore di Dio, ma perché ha fame. Questo significa amare il prossimo come se stessi. Dare “per Dio”, amare l’altro “per Dio”, “in Dio”, non significa amarlo come se stessi. (Q IV 155)
Morire per Dio non è una testimonianza che si ha fede in Dio. Morire per un pregiudicato sconosciuto e ripugnante che subisce un’ingiustizia, questa è una testimonianza di fede in Dio. E’ quanto il Cristo ha voluto far comprendere:”Ero nudo…avevo fame…”. L’amore di Dio non è un intermediario tra l’amore naturale e l’amore soprannaturale delle creature. E’ unicamente a causa della crocifissione che la fede nel Cristo può, come dice Giovanni, essere un criterio. Accettare come dio un condannato di diritto comune vergognosamente torturato e messo a morte, significa proprio vincere il mondo. (Q IV 182)
Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”.
La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. (Attesa di Dio 83)
Il poeta produce il bello con l’attenzione fissata su qualcosa di reale. Lo stesso avvienecon l’atto d’amore. Sapere che quest’uomo, che ha fame e sete, esiste veramente come me –questo basta, il resto vien da sé… (L’ombra e la Grazia 127)
Cristo non chiama i benefattori né amorevoli né caritatevoli. Li chiama i “giusti”. Il Vangelo non fa alcuna distinzione fra l’amore del prossimo e la giustizia. (AD 104)
Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni. (Q IV 182-183)
Attendere e obbedire. Attendere implica tutta la tensione del desiderio, ma senza desiderio, una tensione accettata in perpetuo. (Q IV 137).
La misericordia colma l’abisso che la creazione ha stabilito tra Dio e la creatura. E’ l’arcobaleno. … Quando manchiamo di compassione, separiamo violentemente una creatura e Dio. … L’umiltà è l’unica forma lecita di amore di sé. Lode a Dio, compassione per le creature, per se stessi umiltà. Tutte le virtù senza umiltà sono finite. Solo l’umiltà le rende infinite. (Q IV 125).
Un pittore non disegna il posto in cui si trova. Ma osservando il suo quadro, io conosco la sua posizione rispetto alle cose disegnate. … Secondo la concezione della vita umana espressa negli atti e nelle parole di un uomo, io so (…) se egli guarda questa vita da un punto situato quaggiù o dall’alto del cielo. … Il Vangelo contiene una concezione della vita umana, non una teologia. Se di notte all’aperto, accendo una torcia elettrica, non è guardando la lampadina che ne giudico la potenza, ma guardando la quantità di oggetti illuminati. … Il valore di una forma di vita religiosa, o più in generale spirituale, lo si valuta in base all’illuminazione proiettata sulle cose di quaggiù. Le cose carnali sono il criterio delle cose spirituali. … Solo le cose spirituali hanno valore, ma le cose carnali sono le uniche ad avere un’esistenza constatabile. Quindi il valore delle prime è constatabile solo come illuminazione proiettata sulle seconde. (Q IV 185)
Non mi sono mai domandata se Gesù è stato o no l’incarnazione di Dio; ma di fatto ero incapace di pensare a lui senza pensarlo come Dio. (AD 44)
C’è soltanto un’occasione nella quale veramente smarrisco questa certezza (di Dio): quando incontro la sventura altrui, anche quella che mi è indifferente, di chi mi è sconosciuto (e forse persino di più), compresa la sventura dei secoli passati, anche dei più lontani. Questo contatto mi procura un male così atroce, mi trafigge talmente l’anima da parte a parte, che per qualche tempo amare Dio mi diventa quasi impossibile. Manca poco che non dica impossibile. Al punto che non dica impossibile. Al punto che me ne preoccupo per me stessa. Mi rassicura un poco il ricordo il ricordo di Cristo che ha pianto nel prevedere gli orrori del saccheggio di Gerusalemme. Spero che egli perdonerà la mia compassione. (AD 63)
Immagino che l’ultimo filo, per quanto sottile, deve essere anche il più difficile da spezzare, perché quando è tagliato bisogna prendere il volo, e questo fa paura. Ma l’obbligo è imperioso.
I figli di Dio non devono avere quaggiù altra patria se non l’universo stesso, con la totalità delle creature dotate di ragione che esso ha compreso, comprende e comprenderà. Questa è la città natale che ha diritto al nostro amore. (AD 67)
Molto spesso si confonde l’attenzione con una specie di sforzo muscolare. Se si dice agli allievi: “ E ora fate attenzione”, ecco che aggrottano le sopracciglia, trattengono il respiro, contraggono i muscoli. Se dopo due minuti si domanda loro a che cosa stanno facendo attenzione, non sanno rispondere: non hanno fatto attenzione a nulla, non hano fatto fatto attenzione; hanno solo contratto i muscoli. (AD 79)
L’attenzione consiste nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto, nel mantenere in prossimità del proprio pensiero… (AD 80)
Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello. (OG 155)
Ci sono momenti in cui il pensare a Dio ci separa da lui. Il pudore è la condizione dell’amore nuziale. (AD 114)
Noi siamo nell’irrealtà, nel sogno. Rinunciare alla nostra illusione di essere situati al centro, rinunciarvi non solo con l’intelligenza, ma anche con la parte immaginativa dell’anima, significa aprire gli occhi alla realtà, all’eternità, vedere la vera luce, sentire il vero silenzio. Allora si produce una trasformazione alla radice stessa della nostra sensibilità … Sono gli stessi colori, gli stessi suoni, ma li vediamo e li sentiamo in modo diverso. (AD 120-121)
In tutti i campi, l’amore è reale solo se è rivolto a un oggetto determinato… (AD 142)
Non siamo in grado di muoverci verticalmente. Non possiamo fare neppure un passo verso il cielo. Dio attraversa l’universo e viene fino a noi. Al di là dello spazio e del tempo infinito, l’amore infinitamente più infinito di Dio viene ad afferrarci. Viene quando è la sua ora. Noi abbiamo facoltà di acconsentire ad accoglierlo o di rifiutare. Se restiamo sordi, egli torna e ritorna ancora, come un mendicante; ma un giorno, come un mendicante non torna più.
Se noi acconsentiamo, Dio depone in noi un piccolo seme e se ne va. Da quel momento, a Dio non resta altro da fare, e a noi nemmeno, se non attendere. Dobbiamo soltanto non rimpiangere il consenso che abbiamo accordato, il sì nuziale. Non è facile come sembra, perché la crescita del seme, in noi, è dolorosa. (AD 98-99)
Una delle verità capitali del cristianesimo, oggi misconosciuta da tutti, è che la salvezza sta nello sguardo. … Lo sforzo grazie al quale l’anima si salva è simile a quello di colui che guarda, di colui che ascolta, a quello di una sposa che dice sì. E’ un atto di attenzione, di consenso … Con uno sforzo muscolare il contadino strappa le erbacce, ma soltanto il sole e l’acqua fanno spuntare il grano. (AD 150)
Ci sono individui che cercano di elevare la loro anima come un uomo che salti continuamente a piedi uniti, nella speranza che a forza di saltare sempre più in alto, un giorno, invece di ricadere, riuscirà a salire fino in cielo. Ma mentre è tutto preso da questi tentativi egli non può guardare il cielo. Noi non possiamo fare nemmeno un passo verso il cielo:la direzione verticale ci è preclusa. Ma se guardiamo a lungo il cielo, Dio discende e ci rapisce. (AD 151)
Iddio pena, attraverso lo spessore infinito del tempo e della specie, per raggiungere l’anima e sedurla. Se essa si lascia strappare, anche solo per un attimo, un consenso puro e intero, allora Iddio la conquista. E quando sia divenuta cosa interamente sua, l’abbandona. La lascia totalmente sola. Ed essa a sua volta, ma a tentoni, deve attraversare lo spessore infinito del tempo e dello spazio alla ricerca di colui che essa ama. Così l’anima rifà in senso inverso il viaggio che Iddio ha fatto verso di lei. E ciò è la croce. (OG 98).
– https://it.wikipedia.org/wiki/Simone_Weil
– Fonte gianfrancobertagni.it