7 – [ … ] Una presenza. La Via del buddhismo zen è una Via della presenza.
E se ci dovesse essere una promessa, essa è mantenuta con questa sola presenza. La promessa che tutto è già perfettamente realizzato. Che non c’è da avanzare o arretrare, che sotto i nostri piedi, sotto ciascuno dei nostri passi sta già la nostra realizzazione.
Imparare a ridiventare ciò che siamo in ogni istante della nostra esistenza. Beneficiare di una percezione di noi sana e giusta per accogliere il mondo con la stessa percezione. Attingere da questa semplicità una felicità inesauribile, quella di essere profondamente liberi, immensamente ampi e infiniti, capaci di scrivere il libro della nostra esistenza istante dopo istante e di essere i soli responsabili della nostra felicità e della nostra infelicità. Coscienti che la non-conoscenza di noi stessi perpetua la non-conoscenza del mondo; che dallo scarso amore per noi stessi, per la nostra realtà, dipende lo scarso amore per gli altri e per questo mondo. Che lo sguardo che rivolgo su di me genera quello che rivolgo alle cose attorno a me.
Sì, noi siamo i soli scrittori della nostra esistenza. Gli autori del nostro benessere o del nostro malessere.
L’uomo accecato dal suo ego, colui che affonda nell’ignoranza, nell’avidità e nel rifiuto, assomiglia a quell’uomo che, vedendo un fiore meraviglioso e volendo possederlo, lo taglia e lo mette in un erbario.
L’uomo vero, riconciliato con se stesso e con il mondo, colui che si è risvegliato da tutte le sue illusioni e dal suo torpore, assomiglia a quell’altro uomo che vedendo un fiore meraviglioso sa che non potrà mai possedere nemmeno un grammo della sua bellezza, e contemplandolo scrive una poesia.
Seduti in faccia noi stessi, è l’universo tutto intero che contempliamo. Ad ogni espirazione, tutto è dato. Ad ogni inspirazione, tutto è ricevuto. Colui che dà, colui che riceve e il dono stesso, non li si può distinguere.
In questo meraviglioso scambio permanente dell’universo non c’è che una lunga successione di istanti che ci meravigliano e che possiamo meravigliare a nostra volta. Questo ritorno all’istante, questa capacità di reimparare la meraviglia fragile e delicata di ciascun istante porta in sé tutta la nostra libertà; la libertà di superare la nostra piccola persona, la libertà di andare al di là di tutte quelle preoccupazioni che ci contaminano e che a conti fatti sono insulsaggine e vanità di fronte a questa bellezza del mondo che si rivela in noi e senza sosta sotto i nostri occhi.
Se fate attenzione, ci sono delle facce, dei paesaggi, che voi vedete per la prima volta. Osservate i primi istanti di ciascuna scoperta: ciò che appare ai vostri occhi non è né questo, né quello, ma solo così. E prima che i nostri pensieri si mettano in marcia, che le nostre esperienze passate vengano ad etichettare il presente, prima di tutto questo voi avete fatto l’esperienza del mondo. Un’esperienza pura, piena, completa, gioiosa.
Possano tutti gli istanti della vostra vita essere così poesia di verità: profumo di impermanenza.
NB: la forma utilizzata in questo articolo corrisponde alla maniera di insegnare spesso utilizzata nel buddhismo mahayana. Un discorso ellittico che viene imbastito attorno a un solo concetto, qui quello della presenza, accompagnato da parti in cui il tono utilizzato è quello del koan, domande aperte ed enigmatiche, molto immaginose, alle quali chi svolge il discorso volontariamente non risponde.
(Da: Il Buddhismo zen – La Via di mezzo – Una corrente del Mahayana – Evangile et liberté in italiano del 27-02-12. Federico Djong Do Procopio, traduzione Giacomo Tessaro)
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