Ciò che ci unisce come esseri umani è un desiderio di felicità, che in fondo è un desiderio di unione, di vittoria sui nostri sentimenti di separazione. Vogliamo percepire la nostra identità come qualcosa di più ampio del nostro piccolo io; desideriamo essere una cosa sola con la vita e con tutti gli altri.
Se guardiamo alle radici anche della più terribile dipendenza, della più spaventosa violenza, da qualche parte troveremo questo desiderio di unità e felicità; in qualche forma esso è presente, anche nel più deformante e disgustoso travestimento. Possiamo toccarlo, avvicinarci e scoprirlo e possiamo entrare in contatto con le difficili energie che sono in noi e con le diverse esperienze della nostra vita. Possiamo farci strada attraverso i concetti che ci tengono separati: questa è la vera natura dell’amore e la fonte della salute per noi e per il nostro mondo, questo è il terreno della libertà.
Mettā è la capacità di accogliere tutte le parti di noi e del mondo; praticare la mettā illumina la nostra integrità interiore, in quanto ci affranca dal bisogno di negare i nostri differenti aspetti; con la forza salutare dell’amore possiamo aprirci a ogni cosa. Quando proviamo amore la mente è estesa e abbastanza aperta da includere la vita nella sua integrità, in piena consapevolezza, coi suoi piaceri e i suoi dolori; non ci sentiamo né traditi né vinti dalla sofferenza, di conseguenza possiamo avvicinarci a ciò che è intatto dentro di noi, nonostante le circostanze. La mettā vede realmente che la nostra totalità è intatta, a prescindere dalla situazione in cui ci troviamo. Non abbiamo bisogno di temere nulla, siamo integri; la più profonda felicità è intrinseca alla natura della mente, e la mente non è danneggiata dall’incertezza e dal cambiamento.
(Da: Sharon Salzberg, L’arte rivoluzionaria della gioia)
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