“Siete forse a conoscenza di qualche brillante risultato che attività come la lettura dei Sutra o la recitazione del nome del Buddha abbiano mai consentito di raggiungere? Vi commisero, se pensate che il semplice movimento della lingua o la modifica dell’intonazione siano attività buddhiche dai brillanti risultati. Se pensate di attingere il Dharma del Buddha in tal modo, ve ne discostate sempre di più”.
[Discorso sulla Via dello sforzo – Dogen monaco vissuto nel 13° secolo in Giappone Fondatore del Soto, principale scuola Zen (zen significa meditazione – NdR)]
Dogen: che grande maestro e che eccellente interprete dell’essenza del buddhismo!
Le sue parole, come quelle dei grandi maestri, sono incredibilmente profonde ma semplici, immediate, sagge, ironiche, addirittura impietose nella loro severa ed austera coerenza!
Anche ai tempi di Dogen, come oggi, esistevano e persistono due fondamentali atteggiamenti verso ciò che potremo chiamare la “Via del Buddha”.
L’uno, quello che Dogen stesso insegnava, era fondato sulla ricerca interiore, sulla consapevolezza, sulla comprensione del Dharma, della fondamentale unità di tutte le cose, della non sostanzialità ed impermanenza di tutti i fenomeni.
E’ ciò che possiamo chiamare “Via del Risveglio”.
L’altro, rappresentato ai tempi di Dogen da coloro che recitavano il nome del Buddha, è costituito da quelle persone (presenti del resto in tutte le epoche e in tutte le religioni) che scelgono una spiritualità “infantile”, fatta di gesti, di riti, di parole, di “movimento della lingua”, come efficacemente ed ironicamente dice Dogen, di letture solenni che si compiono intonando la voce in modo innaturale (imponente, pomposo, alterato, fasullo – NdR), insomma formata di “atti” puramente esteriori, vocali, materiali.
E’ ciò che possiamo chiamare “via della devozione”.
In realtà, in tutte le religioni, in tutte le culture, in tutte le epoche, emerge la stessa situazione.
Persino nei Vangeli troviamo questo suggerimento di Gesù: “quando pregate non usate dicerie come fanno i pagani, che pensano di essere esauditi per la moltitudine delle loro parole”. Questo insegnamento d’eccellente spiritualità non impedisce però che molti cattolici pratichino rituali basati appunto sul “movimento della lingua”, come per esempio il “rosario”, le “litanie”, la stessa “messa”.
Tutti i maestri di tutte le discipline o filosofie o religioni hanno sempre insegnato che la consapevolezza, la spiritualità, la mente, vanno “al di là” dei gesti, non c’è bisogno né di atti né di parole: si tratta di esercitare pura intuizione, pura contemplazione, si tratta di far funzionare gli strati “sottili” della mente, quelli che non hanno bisogno né di parole né di gesti per esprimersi, per vivere, per comprendere, per sentire, per essere felici, per vedere le cose “così come sono”.
Quindi, nel buddhismo come anche in tutte le religioni, e in fondo in tutti gli aspetti del comportamento umano, ci sono 2 diversi e fondamentali livelli: quello “adulto” e quello “infantile”.
Cos’è infatti questa ricerca di sicurezza fondata sulla ritualità, sui gesti e sulle parole “magiche”, se non una riedizione della vita infantile?
[…]
Occorre andare oltre i limiti della nostra psiche infantile se vogliamo liberarci dalle illusioni e vivere la condizione umana in modo consapevole e illuminato.
– Luigi – dalla nerwsletter di FiorediLoto.org del 27-01-07
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